Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 06 Giovedì calendario

Le foto di Marianna Madia che mangia il gelato pubblicate da Chi mostrano solo come alcuni giornali di destra tentino di inquadrare le giovani ministre renziane – Boschi e Madia sopra tutte – in funzione del compiacimento maschile, per stabilire una ideale continuità con il recente passato, ovvero “così fan tutti” e “così fan tutte” (e pazienza per quelle signore e signorine di centrodestra che non erano “a disposizione” neanche nei lunghi anni dei governi Berlusconi)

Il rotocalco rosa Chi ha pubblicato alcune fotografie del ministro Madia che lecca un cono gelato nella sua auto, accompagnate dal titolo ammiccante “Ci sa fare col gelato”. Ne è nata una inevitabile polemica sulla grevità di quel titolo. Nonché sull’intenzione non recondita di alcuni giornali di destra di inquadrare le giovani ministre renziane – Boschi e Madia sopra tutte – in funzione del compiacimento maschile, per stabilire una ideale continuità con il recente passato.
Niente fa quadrare meglio i conti e pacifica le coscienze, a destra, del “così fan tutti” e del “così fan tutte”, e pazienza per quelle signore e signorine di centrodestra che non erano “a disposizione” neanche nei lunghi anni dei governi Berlusconi. Del resto il direttore di quel giornale, Alfonso Signorini, ama buttarla in politica, e si difende rivendicando una specie di par condicio con il caso, per lui analogo, dell’attuale compagna di Berlusconi, Francesca Pascale, messa alla berlina per un vecchio passaggio televisivo nel quale, in veste di soubrette, si esibiva in compagnia di un gelato.
Difficile dire se la replica di Signorini sia più inconsistente o più ipocrita: le immagini di Pascale erano pubbliche, consenzienti e fanno parte del suo curriculum professionale, quelle di Madia sono state rubate con un teleobiettivo e si dubita che il ministro intenda inserirle in un suo eventuale portfolio.
La parentela tra le due vicende, se si eccettua il fatto che entrambe speculano su umori di grana grossa, è zero. Se vado in televisione e dico una scemenza o una porcheria, sono interamente imputabili a me. Se vengo ripreso e registrato clandestinamente in casa mia mentre mi sfugge di bocca, del tutto privatamente, la stessa identica scemenza o porcheria, non ne porto alcuna responsabilità e sono solo la vittima di una evidente violazione.
Detto questo va aggiunto (anche a consolazione del ministro Madia, e dei “paparazzati” di ogni ordine e grado) che nella enciclopedica e annosa attività del gossip la volgarità assai raramente risiede nell’immagine carpita, per quanto goffa o imbarazzante. Men che meno in questo caso, dove l’immagine carpita è delle più innocue e quotidiane. La volgarità sta nello sguardo che pretende di sorprendere il potente o il famoso o il fortunato per pareggiare un conto, quello della disparità delle condizioni umane, che è pareggiabile solamente (e forse, e chissà) lungo i secoli, i moti sociali e le rivoluzioni culturali e politiche. Perché la diva con la calza smagliata rimane diva, e il miliardario che si tuffa nudo dal suo panfilo rimane Gianni Agnelli nonostante il ghignetto canzonatorio (e consolatorio) che lo scatto rubato induce nel lettore; o proprio in virtù di quel ghignetto, che è subalterno e servile, così servile da nutrirsi delle vite altrui non attribuendo alcun valore alla propria.
Questa è la vera volgarità, deprezzarsi al punto di dare valore a qualunque frattaglia o umore o lappata di famoso o famosa, sentirsi comunque ricettore o cliente di ciò che cola giù dai palazzi, promuovere a “interessante” il dettaglio, l’inciampo, il ritaglio, l’orlo che penzola, il rimmel che sbava, il seno che occhieggia per sbaglio. È per questo che una tristezza indelebile campeggia sopra il gossip: è la tristezza della rassegnazione.
Quanto al sessismo vale, non solo nel gossip, la vecchia regola che l’allusione è spesso più sconcia del lessico da taverna. Il Vernacoliere fa uso del più becero gergo sessuale, ma con un’allegria plebea e un’intenzione comica che ce lo fanno sentire innocente nel profondo, e derisorio delle femmine e dei maschi con equanime foga.
Ma è una questione di ambiti e di competenze, la satira è satira, e quella satira incarna lo spirito di angiporto che trionfa anche per nostro conto, e ci redime di ogni dannata convenzione. Niente è più imbarazzante, invece, dell’incravattato che vuole fare lo spiritoso ma non osa, e dà di gomito al vicino, nella pratica piccolissimo-borghese dell’insolenza pensata ma non detta. O uno può permettersi di dire “culo” in pubblico, ed è molto raro che questo accada, un privilegio di pochi raffinati o di inarrivabili buzzurri, comunque un’ élite; o non lo dica affatto, e parli educatamente, specie se sta parlando di una giovane signora, e specie se ha responsabilità di rilievo nell’intrattenimento popolare.