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 2014  novembre 05 Mercoledì calendario

La famiglia di Stefano Cucchi denuncia i periti: «La loro relazione è piena di falsità». Nel mirino il medico che ha eseguito l’autopsia sul corpo di Stefano e i sei esperti che hanno scritto la consulenza

Sono convinti che i nuovi elementi ci sono, eccome. E sperano che il caso venga riaperto già oggi, quando depositeranno in procura un esposto contro i consulenti dei pubblici ministeri e i periti della Corte d’Assise. Non si arrendono i familiari di Stefano Cucchi e non si arrende il loro avvocato: oggi accuseranno di falsa perizia chi ha fatto l’autopsia sul corpo di Stefano e i sei medici scelti come esperti dal giudice di primo grado. Tanto dovrebbe bastare, secondo loro, per passare da una «rilettura» del caso, a una vera e propria inchiesta bis. D’altronde era stato lo stesso procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, a dichiarare che di fronte a nuovi elementi l’indagine si sarebbe potuta riaprire.
Una nuova denuncia, una nuova battaglia. Per fare chiarezza, per dimostrare che tanti, troppi sbagli sono stati fatti. E per partire da quelli. Secondo la famiglia i nuovi profili ci sono. Meglio, potranno emergere una volta che si capirà che quelle perizie e consulenze sono false. Al centro di tutto, così come era stato al processo, le cause della morte di Stefano. Il decesso, secondo gli esperti nominati dal giudice (e secondo quelli del pm), è stato causato alla sindrome di inanizione. Malnutrizione, in buona sostanza. Tesi che l’avvocato della parte civile, Fabio Anselmo, ha più volte contestato. Lo aveva fatto anche con una memoria, depositata in Corte d’Assise, dalla quale, probabilmente, prenderà le mosse anche l’esposto che stanno scrivendo in queste ore. In quel documento, infatti, la ricostruzione dei medici veniva smontata punto per punto. Venivano sviscerate le contraddizioni tra un esperto e l’altro, i disaccordi tra di loro e le incongruenze, a dire della difesa, sui loro accertamenti. Dettagli piccolissimi che, però, secondo la difesa, hanno condizionato l’esito del processo. E che – questo il sospetto della parte civile – potrebbero non essere stati accompagnati dalla buona fede.
Innanzitutto, le cause della bradicardia che avrebbe causato la morte del geometra romano. Tutti concordano su questo, ma manca l’accordo sulle cause di quella patologia. Scrive Anselmo che uno dei consulenti, il cardiologo Marenzi, «sostiene chiaramente, senza che vi siano dubbi, che Stefano Cucchi sia morto per bradicardia atriale o giunzionale causata dal dolore e dalla somministrazione degli antidolorifici, cui si è aggiunto il dimagrimento patologico. Quindi il professore afferma a chiare lettere che dimagrimento, dolore e farmaci siano state concause di morte». Il cardiologo, continua Anselmo, «afferma che non è vero che il poli-traumatismo non abbia influito sulla causa di morte, ma che, anzi, il dolore e la necessità di assumere farmaci per sopportarlo, possano essere riconosciute come vere e proprie concause». Insomma, sostiene la difesa, se le botte non sono state l’unica causa della morte, certo hanno contribuito. Poi c’è la questione del catetere. Una faccenda della quale si è a lungo discusso durante le udienze in Corte d’Appello. «Per quale motivo – chiede Anselmo ai giudici – prescindendo dall’analisi di tutte le testimonianze di tutti i medici che lo hanno visitato e della cartella clinica, un ragazzo comunque normale, che faceva attività fisica fino al momento del suo arresto, e quindi fino a poche ore prima del suo ricovero al Fatebenefratelli, improvvisamente non riesce più a urinare e ha necessità di ricorrere a un catetere vescicale?». L’ostinazione della parte civile sul tema è dovuta al fatto che tutti i periti confermano che il “globo vescicale” era ostruito. E, spiega Anselmo, nessuno è riuscito a rispondere a questa domanda. La risposta, a un certo punto, di due dei periti, continua l’avvocato nella sua ricostruzione, è di una «banalità evidente». «Barana e Sganzerla rispondono che Stefano Cucchi era un paziente ritenzionista senza motivo, asintomatico e che il catetere è stato apposto per comodità». Dettagli ai quali ora la famiglia Cucchi si attacca nella speranza di far riprendere le indagini.