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 2014  novembre 05 Mercoledì calendario

Elezioni Usa: Obama ha perso l’appoggio, ma in fondo Bill Clinton governò così per sei anni. E con successo. Obama ha iniziato il suo mandato con la vittoria storica del voto sulla riforma sanitaria, e da quel momento si è trovato ogni porta sbarrata sulla strada del Campidoglio

Anatra zoppa. Obama ha conquistato ieri l’impietosa etichetta che spetta ad un presidente americano che si avvia verso il termine del suo mandato, senza il conforto di un appoggio da parte del Congresso. I due anni restanti del suo mandato saranno ancora più difficili di quanto non lo siano stati i sei precedenti, e il presidente dovrà arrampicarsi sugli specchi nel tentativo di indirizzare la politica del paese.
I repubblicani sono arrivati a questo traguardo partendo da lontano. In un libro denuncia sulle trame ordite dai deputati della camera dei rappresentanti, dal titolo: «Don’t Ask What Good We Do» (non chiedeteci casa facciamo di buono), il giornalista d’inchiesta Robert Draper scrisse quattro anni fa di una cena segreta che si tenne in una steak house di Washington la notte del 20 gennaio del 2009, vigilia della prima inaugurazione di Obama, il quale stava per entrare alla Casa Bianca con il partito democratico in possesso della maggioranza in entrambi i rami del Congresso. Vi partecipavano 15 deputati repubblicani, invitati dagli strateghi Newt Gingrich e Frank Lutz a disegnare la strategia della riscossa: riconquistare la camera nel 2010, e poi usarla per ostacolare ogni progetto di legge ispirato dall’amministrazione. «Ricordatevi di questo giorno. – ammonì Gingrich -. Se ci comporteremo da minoranza, saremo condannati a restare tali».
Tecnicamente la posizione in cui si è venuto a trovare Obama dopo il voto di ieri non è di assoluta ingovernabilità. I democratici cedettero il controllo dei due rami del legislativo dopo il primo biennio della presidenza di Bill Clinton, il quale continuò ad operare con enorme successo per i restanti sei. Clinton era un lottatore esperto a schivare i colpi: ingoiò la sconfitta della riforma sanitaria, accettò l’ipocrita politica del silenzio intorno militari gay, e in cambio firmo il patto commerciale Nafta e le misure contro la discriminazione sul lavoro. Obama ha iniziato il suo mandato con la vittoria storica del voto sulla riforma sanitaria, e da quel momento si è trovato ogni porta sbarrata sulla strada del Campidoglio.
LA POSTA IN GIOCO
Il paradosso dopo il voto di ieri è che la stessa logica di conquista progressiva del potere che ha spinto fino ad ora i repubblicani al boicottaggio, da oggi li costringe ad una qualche forma di cooperazione, se vorranno arrivare alle presidenziali del 2016 con un pacchetto di leggi approvate, da sbandierare di fronte agli elettori. Sul tappeto ci sono gli accordi commerciali con l’Europa e quello transpacifico, la riforma del sistema carcerario e la spesa per le infrastrutture. È probabile che nelle prossime settimane spuntino nuovi negoziati e accordi. 
Più difficile invece sarà la trattativa su argomenti prettamente politici, come la riforma dell’immigrazione e la relativa richiesta di sanatoria dei clandestini da una parte, che sono care all’amministrazione, e dall’altra la licenza per l’oleodotto che viene dall’Alaska e la riforma del codice delle tasse, fortemente volute dai repubblicani.
IL BRACCIO DI FERRO
Se si dovesse tornare al braccio di ferro che ha imperato negli scorsi sei anni, Obama potrebbe essere tentato di legiferare a colpi di decreto, e imporre l’aumento del minimo delle paghe, nuovi ammortizzatori sociali e controlli più rigidi sui bilanci aziendali. Sono pochi però a crederlo. L’elezione presidenziale del 2016 è alle porte, e con essa un ennesimo rinnovo parziale di camera e senato. I politici nel prossimo biennio saranno tutti impegnati a dimostrare di saper cooperare tra loro e con il presidente per far avanzare proposte di legge. In quanto ad Obama, non è un caso che abbia già deciso di partire domenica prossima per un viaggio in Cina, Myanmar e Australia. Come ogni suo predecessore, potrà finalmente concentrarsi sui rapporti internazionali, e sulle visite ufficiali che ha dovuto rimandare a lungo negli anni. I giornalisti accreditati a seguirlo in Asia sono appena 51: la metà di quelli che lo seguivano lo scorso aprile sulla stessa rotta.