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 2014  novembre 05 Mercoledì calendario

Un virus si aggira per l’Italia, ben più minaccioso di Ebola. È il virus del Monito, che consiste in una frase solitamente priva di senso compiuto che esorta non si sa bene chi a fare non si sa bene cosa

Un virus si aggira per l’Italia, ben più minaccioso – al momento – di Ebola. È il virus del Monito, che consiste in una frase solitamente priva di senso compiuto che esorta non si sa bene chi a fare non si sa bene cosa. La forma è sempre impersonale: “si eviti”, “si faccia”, “ci si astenga”, “si provveda”, “si affretti”. Così capisce solo il destinatario, il quale però può dire che il bersaglio è un altro, lui non c’entra, anzi è d’accordo col monitatore e ci far un figurone. A sua volta il monitatore, alla mala parata, può sempre precisare che non ce l’aveva con tizio, ma con caio, o con tutti, o con nessuno. E morta lì.
Così parla, anzi monita Re Giorgio da una vita: come gli oracoli sibillini della Pizia di Delfi. L’ultimo era sull’alluvione a Genova: “Fatti sbalorditivi e sconvolgenti, ma si eviti il rischio di riferimenti troppo generici: bisogna essere molto circostanziati”. Talmente circostanziati che non si capiva con chi ce l’avesse: accusava genericamente qualcuno di essere troppo generico. Chi pensasse che il Monito non sia contagioso deve ora ricredersi, dinanzi al propagarsi dell’infezione alle altre cariche dello Stato. Piero Grasso dà il suo contributo al caso Cucchi con un monitino mica da ridere: “Chi sa parli”. Perbacco: gliele ha cantate chiare, anche se non si sa bene a chi. Non succede nulla, non cambia niente, ma anche il presidente del Senato ha strappato un titolo nei tg e sui giornali e ha fatto la sua porca figura a costo zero.
Anche il suo vecchio dioscuro palermitano, Giuseppe Pignatone, ora capo della Procura di Roma, ne esce da dio: si dice pronto a riaprire l’inchiesta su Cucchi, lasciando così intendere che non fosse proprio perfetta; ma poi si affretta a elogiare chi la condusse, lasciando così intendere che fosse perfetta. Risultato: nulla mischiato con niente, però fra gli applausi di tutti.
Poi c’è Renzi, che di suo sarebbe portato per la Supercazzola, ma l’ha prontamente contaminata col Monito, aggiungendovi un tocco di ma-anchismo veltroniano. I poliziotti manganellano gli operai e i sindacalisti di Terni? Massima solidarietà agli operai, ma anche ai poliziotti. Poi, l’altroieri, la denuncia del complotto: “C’è un disegno per spaccare in due l’Italia”. E chi l’ha disegnato, quel disegno? Mistero.   
In Italia, politici e giornalisti sono di bocca buona e si bevono tutto. Capita però che il nostro sia pure presidente di turno del Consiglio europeo, dunque le sue parole varcano la cinta daziaria fino a Bruxelles e a Strasburgo. Ieri il capogruppo del Ppe all’Europarlamento, Manfred Weber, ha chiesto un parere al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker sull’ultimo attacco renziano alla “tecnocrazia e burocrazia di Bruxelles”. Risposta: “Devo dire al mio caro amico Renzi che io non sono il capo di una banda di burocrati, forse lui lo è. Io sono il presidente della Commissione Ue, che merita rispetto, non meno dei governi”. Poteva aggiungere che il Pd di Renzi l’ha votato a quella carica, dunque non si capisce di che si lamenti. Ma ha preferito rivelare: “Prendo sempre appunti durante le riunioni, poi sento le dichiarazioni che vengono fatte fuori e spesso i due testi non coincidono”. Traduzione: Renzi fa il figo davanti ai giornalisti, ma poi a tu per tu diventa un agnellino di marzapane.
La tecnica funziona con la stampa italiana, sempre prodiga di titoli epici su Renzi in guerra con Juncker, in rotta con la Merkel, Renzi che strapazza la Bce, rompe con Barroso, gliela fa vedere ai burocrati e ai tecnocrati cattivi, contesta i trattati come lo “stupido fiscal compact”, vuole “cambiare l’Europa”, “respinge al mittente le lettere dell’Ue sulla finanziaria”, “piega l’Europa” e strappa “più flessibilità per i conti italiani”. Poi uno va a vedere le carte e scopre che di tutti quegli annunci non c’è traccia alcuna: solo un premier che si affretta a cambiare la manovra di 6 miliardi, scodinzolando agli ordini dell’Ue. Come Giandomenico Fracchia che, degradato a incartare i cioccolatini, si fa bello davanti ai colleghi minacciando fuoco e fiamme con il capufficio: “Ora mi sente, io lo mando a pulire i cessi!”. Poi, davanti alla sua porta, non osa neppure bussare e se la fa sotto.