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 2014  novembre 04 Martedì calendario

La Grande Guerra di Olmi. Quando il nemico è il generale e non quel ragazzo nella trincea di fronte. Un film «per mio padre soldato e per milioni di altri giovani, morti senza sapere perché»

Ne erano già morti un po’. Partivano ingobbiti e tremanti e i cecchini da sopra non ne mancavano uno. Solo che toccava di raggiungere un posto di vedetta, e se necessario ci avrebbero mandato tutti, a costo che ci rimanessero e finché qualcuno non l’avesse spuntata.
Era adesso il turno del soldato Morana: «Signor tenente, io non ci vado». Morana era una specie di eroe, e il tenente Alfani rimase lì, incerto di aver ben compreso. I due proseguiranno qualche pagina, i toni sempre più concitati, il terrore sempre più paralizzante, qualcuno griderà a Morana che intenda fare e Morana avrà infine un sussulto, «ecco... così...», afferrerà il moschetto, se lo punterà al mento e trarrà «il colpo che fece schizzare il cervello contro i sacchi del parapetto». È l’ultimo respiro de La paura, il racconto di Federico De Roberto (lo scrittore dei Viceré) a cui Ermanno Olmi si ispira esplicitamente. È tutto qui e volendo c’è dentro il mondo intero: un soldato senza scampo, se va avanti i cecchini lo ammazzeranno, se non va i suoi lo metteranno al muro, e allora basta con la messinscena, sia finita qui.
Il nemico - dice Olmi oggi, come De Roberto un secolo fa, come qualche altro centinaio di registi e di scrittori - non è tanto quello che ti sta davanti, ma quello che hai dietro. Il nemico nella trincea di fronte è uno come te, un ragazzo mandato alla guerra sul brivido di una retorica, di una fanfara, di qualche bell’ideale, e rovesciato in una macelleria senza senso; il nemico vero è chi la guerra l’ha voluta e ci gioca in un caldo quartier generale spostando sulla carta il sangue dei vivi. È l’ipocrisia delle vigliaccheria, dice Olmi. E ci ha fatto sopra questo film, costruito su una teoria eterna, applicabile a tutti i conflitti di tutti i tempi con la forza della ragione e della retorica: la squallida offesa del potente all’umile, fosse lo schiavo delle Piramidi, il conquistatore del Sacro Sepolcro, il popolo tedesco spremuto fino agli adolescenti della hitlerjugend, i miserabili che si fanno saltare su un pullman o in un centro commerciale, pregustando il paradiso e le vergini celesti. Il tradimento della Prima guerra mondiale è di questo stampo, dice Olmi. Il film serve, dice, per ricordare e per chiedere scusa.
Ma per fortuna non è tutto qua. Se fosse tutto qua ci sarebbe da uscire dal cinema con la sensazione di aver buttato il tempo. Non c’era bisogno di Olmi per rifletterci sopra, non c’era nemmeno bisogno di compulsare le centinaia di testi usciti in questo centinaio d’anni, non c’era forse neanche bisogno delle pagine di Erich Maria Remarque o di Louis-Ferdinand Céline, per dirne due fra i più letti, perché sarebbero bastati altri film che hanno visto e rivisto tutti, da Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick alla Grande guerra di Mario Monicelli. Sarebbe bastato distribuire nelle scuole il racconto di De Roberto. Invece, se Dio vuole, Olmi non basta mai. Olmi va oltre il punto che lui stesso crede di avere raggiunto, prende la teoria e la fa risuonare di vita, fino a che della teoria non importa più a nessuno: il dettaglio la tira fuori dalla speculazione filosofica, ne fa un lampo universale, la solitudine del combattente sull’altipiano di Asiago sotto quattro metri di neve, i secondi silenziosi di un suo sguardo, gli occhi mentre si sente il fischio satanico dell’obice un attimo prima del boato, nella tasca la foto dei bambini a casa, un albero d’oro in fiamme, le palline di mollica per il topolino, i cucchiai nella gamella, il sottufficiale febbricitante che si strappa le mostrine, la pezza di cotone sulla ferita purulenta, il cappellano militare che benedice un corpo nelle neve, la volpe che fugge al colpo di mortaio, il canto di un militare nell’ora di tregua. Sono gli istante del terrore e della dolcezza di uomini partiti per combattere con Alessandro Magno e con Napoleone, con Gengis Khan e col generale Custer: li unisce uno scandalo supremo e inevitabile colto nella sua indiscutibile essenza.
P.S. Oggi Torneranno i prati sarà proiettato in anteprima al Quirinale e in quasi altri cento paesi dei cinque continenti, in ambasciate, consolati, istituti di cultura, ad Amsterdam, Tashkent, Città del Capo, Parigi, Jakarta, Teheran, Boston, Seul, New York, Mosca, Buenos Aires, Wellington e così via. Oggi come allora, quando la Grande guerra fu il primo evento globale della storia dell’uomo.