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 2014  novembre 04 Martedì calendario

«Uno tsunami finanziario» su Snam e Terna, che con Enel e le locali (A2A, Hera e Acea) hanno bruciato oltre 3 miliardi di capitalizzazione. «Intanto l’Autorità per l’Energia ha cercato di spiegare meglio la situazione, ricordando di aver iniziato a procedere alla revisione del tasso di remunerazione a partire dal 2013 e che i documenti sono stati soggetti a consultazione. In altre parole, il mercato non avrebbe saputo leggere per tempo i documenti. Di sicuro, ha saputo vendere»

Per  le società dai business “regolati”, dove la redditività si può misurare con un buon margine di certezza in base agli investimenti effettuati, è come se fosse passato «uno tsunami finanziario». E’ questa l’espressione che veniva usata ieri negli uffici di Snam, nel quartier generale di Metanopoli alle porte di Milano, davanti ai terminali che passavano le quotazioni di Borsa. L’immagine rende bene l’idea, visto che ieri Snam, la società che gestisce la rete della distribuzione del gas lungo tutta la penisola, è crollata a Piazza Affari perdendo in una sola seduta l’11,32 per cento. Un record, se si considera che cali del 2-3 per cento sono considerato un evento.Una colossale fuga di investitori che è costata all’azienda guidata da Carlo Malacarne quasi 1,2 miliardi di capitalizzazione. Ma la perdita è assai più consistente, se si pensa che a scendere in Borsa sono state tutte le società quotate del settore energia che hanno parte della loro redditività derivante da attività regolate. Come Terna, l’azienda che gestisce la rete elettrica ad alta tensione, che ha perso circa il 6 per cento ed Enel che ha visto fermare la sua corsa verso i massimi dell’anno con un calo del 4,23 per cento. A queste si devono aggiungere le utility che gestiscono le reti elettriche a livello locale: A2a (-3,62 per cento), Hera (-2,57 per cento) e Acea (-4,35 per cento). Tutte insieme hanno perso oltre 3 miliardi di capitalizzazione, contribuendo non poco alla giornata negativa del listino principale milanese, che ha chiuso in calo del 2,1 per cento.Ma cosa ha provocato un simile “tsunami”? A innescare le vendite sono state una serie di report delle banche d’affari (da Mediobanca a Credit Suisse, da JpMorgan a Equita sim) all’indomani della presentazione dei conti trimestrali di Snam, ma soprattutto dopo la pubblicazione della delibera dell’Autorità per l’energia, il gas e il settore idrico che ha fissato i nuovi criteri per la remunerazione per gli investimento negli stoccaggi del metano. E non tanto perché l’Authority abbassa dal 6,7 a 6 per cento la remunerazione prevista (dato atteso dal mercato e già scontato nelle quotazioni di Snam). Quanto perché gli analisti hanno letto negativamente per la redditività di tutte le utility alcuni passaggi in cui si fa cenno alla possibile revisione dei meccanismi di calcolo per tutti gli investimenti nelle reti.In sostanza, i fondi di investimento hanno abbandonato in massa le utility non solo perché temono minori dividendi per i prossimi anni (la revisione non comincerà prima della fine del 2015), ma perché hanno letto un possibile cambio delle regole nel sistema della regolazione degli investimenti. Una sorta di “tradimento” visto che molti fondi hanno investito in Terna e Snam — scrivendolo nei loro documenti — perché l’Italia ha saputo offrire al mercato uno dei sistemi più trasparenti, ma anche mediamente ben remunerati, d’Europa.In serata, con una nota, l’Autorità per l’Energia ha cercato di spiegare meglio la situazione, ricordando di aver iniziato a procedere alla revisione del tasso di remunerazione a partire dal 2013 e che i documenti sono stati soggetti a consultazione. In altre parole, il mercato non avrebbe saputo leggere per tempo i documenti. Di sicuro, ha saputo vendere.