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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

Dario Argento si racconta in un’autobiografia da «Paura». Dall’incontro con Sergio Leone ai misteri sul set di Suspiria, dagli orologi rotti alle 6 milioni di mosche. Tutti i segreti del maestro dell’horror all’italiana

Il bimbo ha 4 anni ed entra a teatro - coi genitori - per vedere l’Amleto di Shakespeare. Quando appare il fantasma del padre di Amleto caccia un urlo terrificante, ha la bava alla bocca... Per un bimbo normale sarebbe finito tutto lì, con qualche incubo e qualche pipì a letto, ma non per Dario Argento che scrive nella sua autobiografia Paura (Einaudi, 349 pagg, 19,50 euro): «Da allora non fui più lo stesso. Quel giorno sono nate tante fascinazioni. Nessuno lo sapeva, neppure io ne ero cosciente, ma un seme era stato gettato».
Il seme del genio dell’horror nasce proprio in quei giorni, tra lo studio fotografico dei nonni, dove si aggirano personaggi come Sophia Loren e Fellini, e la vorace lettura di libri che spaziano da Ai confini della realtà a Il piacere di D’Annunzio e Le mille e una notte, attraverso cui scopre il piacere della masturbazione. Da adulto quel divorare libri e film, quella scoperta dei racconti di Poe, dove tra persone sepolte vive, cadaveri e misteri «si sente finalmente se stesso», quella visione di Biancaneve che lo fa tifare istintivamente per la strega cattiva, quel macinare Hitchcock saranno la base per la costruzione della sua visione gotica del cinema.
Tutto si muove quando incontra Sergio Leone e il giovane Bernardo Bertolucci, e tutti e tre lavorano alla sceneggiatura di C’era una volta il West. Tutti i giorni si incontrano per buttare giù la trama e anche i momenti di impasse vengono superati nei modi più strani. Una volta che la storia non procede, Leone si alza e dice: «Vado in bagno». Rientra dopo un tempo interminabile con un sorriso di trionfo spiegando la scena e dice: «La gente sottovaluta l’importanza che ha andare di corpo».
Anche l’Argento regista fa fatica a decollare; dapprima i produttori vogliono affidare il suo Uccello dalle piume di cristallo a un regista noto e possibilmente straniero, poi ci sono problemi di censura e alla fine, il 19 febbraio 1970, quando il film esce in anteprima a Milano e Torino, vietato ai minori di 14 anni, è un flop incredibile. Dario e il padre corrono a Firenze, terrorizzati, per vedere la reazione del pubblico e lì è il trionfo, con gente che strilla di paura, salta sulla sedia e alla fine scoppia in un fragoroso applauso.
Il film entra in breve nella top five di Variety e Argento diventa un maestro dell’horror. «Io non credo al soprannaturale - scrive Argento - mi affascina come fenomeno culturale, nella fase preparatoria di Suspiria ho studiato tutti i testi esoterici più famosi ma credo nelle coincidenze, negli intrecci del destino». Però, proprio durante la lavorazione di Suspiria, ricorda una lunga catena di fatti inspiegabili: orologi da polso bloccati di colpo, macchine da presa inceppate, pellicole che, dopo un giorno di «girato», rimanevano bianche... Argento voleva che le sue scene shoccanti fossero il più reali possibile, così in Phenomena riuscì a procurarsi sei milioni di larve di mosca chiudendole in un capannone («Osservavo incantato quelle nuvole che si sollevavano al mio passaggio»). Governare gli insetti però era impossibile quindi furono costruite delle microcinture di nylon che, senza ferirle, muovessero le mosche come fossero aquiloni.
Argento racconta aneddoti gustosi sui suoi film ma non dimentica la sua vicenda personale le crisi, il tentativo di suicidio, i sogni (avere i Pink Floyd o i Deep Purple per la colonna sonora di Profondo rosso) persino le ossessioni da cui nacque Opera, «in assoluto il film più faticoso e cupo che abbia mai diretto, e insieme il più costoso».