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 2014  ottobre 29 Mercoledì calendario

Stress-test, parametri e paradossi dell’esame alle banche. E quella volta che Dexia venne promossa

Non è stata una novità assoluta l’esame globale delle banche dell’eurozona concluso domenica e che ha visto le italiane tra le più deboli dell’intero sistema. Il primo stress test sulle banche europee è stato condotto per la prima volta tre anni fa, nel 2011, in piena crisi del debito sovrano. È stato quello ormai famoso che, fra l’altro, diede il certificato di robusta costituzione alla belga Dexia, che pochi mesi dopo sarebbe finita in liquidazione. Anzi quella volta — ricordano gli esperti — gli stress test realizzati furono addirittura due: uno, pubblico, sul capitale; un altro, segreto, sulla liquidità. Il dato di quest’ultimo non è noto. Ma anche spulciando i dati pubblici si poteva cogliere qualche indizio che Dexia rischiava se il costo dei titoli di Stato fosse salito. È quello che è puntualmente avvenuto .
Regole comuni
Sarebbe tuttavia ingeneroso dire il che il Comprehensive Assessment, l’esame degli attivi delle banche portato avanti da Bce e Eba (European banking authority), in vista del passaggio alla Vigilanza unica di Francoforte, sia fuorviante o addirittura non serva. Al contrario è stato apprezzato da tutti gli osservatori, dalle agenzie di rating, dagli analisti e dagli stessi banchieri centrali come il primo passo per creare un terreno comune di gioco per banche di Paesi diversi, con regole diverse, e provenienti da regole di vigilanza differenti. Tuttavia, differenze di trattamento tra le banche nella valutazione degli attivi (asset quality review, o aqr) e nella prova di resistenza a choc dell’economia (stress test) ci sono state.
Ieri anche un banchiere promosso come Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, l’ha detto chiaramente: l’esito degli stress test, particolarmente penalizzante per il sistema bancario italiano, era «prevedibile» considerando i criteri sui quali era basato. Mps e Carige sono risultate carenti di 3 miliardi di capitale sui poco più dei 6 che di fatto dovranno essere raccolti in totale dagli istituti bocciati. Tra quei criteri, non ultimo che lo stress test era «concentrato sugli attivi creditizi», particolarmente colpiti da tre anni di recessione e non «sugli attivi di mercato», come ad esempio i derivati, di cui sono carichi i bilanci di alcune banche estere .
Insomma è stato esaminato approfonditamente e sottoposto a prove di resistenza maggiori il credito alle imprese rispetto alla finanza speculativa, che poi è quella che ha dato l’avvio alla crisi finanziaria mondiale con il crack Lehman. Non a caso una crisi di liquidità legata alla difficoltà di valutare gli attivi del colosso Usa. Da qui dunque la promozione di tutte le banche tedesche, a cominciare da Deutsche Bank, che avrebbe superato l’esame degli attivi anche senza l’aumento di capitale da 8,5 miliardi del 2014, o delle banche francesi maggiori.
Il giudizio sui derivati
Che cosa sia successo per esempio nella valutazione dei derivati lo spiega Andrea Resti, professore di Economia degli Intermediari finanziari alla Bocconi e vicepresidente del banking stakeholder group dell’Eba: «Era tecnicamente difficile valutare su basi omogenee le minusvalenze potenziali dei titoli strutturati. Un conto è simulare la svalutazione di un credito o di un titolo di Stato, un conto la svalutazione di uno strutturato come un cdo (collateralized debt obligation, cioè debiti garantiti da altri debiti, ndr ). Per questo si è dovuto fare affidamento sulle stime delle singole banche, quelle che usano i modelli interni». Come appunto le maggiori tedesche (ma anche le italiane).
La seconda fase dell’esame della Bce, lo stress test, ha creato un’altra situazione di disparità tra i diversi Paesi. Per gli italiani è stato «come un triplo stress», commenta Nagel, dato che il 2013 — punto di partenza dell’esame dei bilanci — era stato segnato da «forti rettifiche su crediti» e dell’avviamento «derivanti dalla recessione in corso da anni». Su queste basi, lo stress test ha avuto «un effetto moltiplicativo». Comunque, conclude il banchiere, «io ho un giudizio molto positivo su come il sistema è uscito dagli stress test». In effetti, in uno scenario «quasi apocalittico», per dirla con il vicedirettore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, le banche italiane hanno resistito. Le prove erano pesanti: un balzo dei rendimenti sui titoli di Stato di 205 punti base per l’Italia contro i 109 della Germania e un Pil italiano in calo dello 0,9% nel 2014 e dell’1,6% nel 2015 nella simulazione peggiore. Inoltre venivano ipotizzate perdite di circa 3 miliardi e mezzo sui titoli pubblici in portafoglio, «mentre nella realtà si sono registrate plusvalenze», ha spiegato ancora Panetta. Tutte e 15 le banche italiane, poi, hanno superato la prova madre, la verifica degli attivi.
Il caso Germania
Ma c’è anche qualcosa che questi stress test non dicono, o che almeno non compare nelle pagelle finali, anche se è stato calcolato dalla stessa Eba. Se si fossero applicate le regole contabili cosiddette di Basilea 3 a pieno regime, come sarà dal 2019, le banche bocciate sulla base del bilancio 2013 non sarebbero state 25 (di cui 9 italiane) ma 36. E di queste cinque sono tedesche, contro una sola realmente bocciata, la Muenchener Hypo. Ma per il momento Basilea 3 non è pienamente adottato, così lo stress test si è basato sul livello transitorio applicato Paese per Paese. Tra le escluse per esempio c’è la tedesca Hsh Nordbank, molto esposta nel settore dell’industria navale, controllata dalla città di Amburgo e dalla regione dello Schleswig Holstein. Ma anche colossi come lo spagnolo Santander, o la britannica Rbs, o Unicredit hanno livelli di patrimonio più bassi con Basilea 3, ma sufficienti.
Altro punto non emerso nel giudizio finale ma evidenziato ieri dal New York Times è la debolezza delle banche tedesche sulla leva finanziaria: Deutsche Bank era a fine 2013 la penultima tra le 25 tedesche sotto esame come leverage ratio, superata solo da Muenchener Hypo. «L’arbitro ha fischiato in modo strano», ha scherzato ieri Romano Prodi. «Del resto, l’Italia sconta la scomoda posizione di essere tra gli ultimi della classe. Sarei curioso di sapere come sarebbero state giudicate le Landesbank tedesche che non erano incluse negli esami».
Le regole per Siena
Infine c’è il trattamento presuntamente ad hoc applicato al Montepaschi. Di fatto per Mps sarebbero valsi gli stessi criteri delle banche sane, e non quelli delle banche in ristrutturazione come le greche. A queste ultime è stato applicato il bilancio «dinamico», cioè sono le proiezioni del piano di ristrutturazione, e sulla base di ciò non dovranno coprire i 2,5 miliardi mancanti. Siena lamenta invece che di fatto il bilancio dinamico sarebbe stato disapplicato per loro, visto che non sarebbero stati considerati i cambiamenti in corso nel suo modello di business, costruito sulle commissioni più che sugli interessi, né la possibilità di non rimborsare gli aiuti di Stato, pur prevista negli accordi con Bruxelles. Una linea non attesa quando Mps chiese a giugno 5 miliardi al mercato.