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 2014  ottobre 28 Martedì calendario

Colonizzare Marte. L’astronauta Buzz Aldrin, quello che con Neil Armstrong issò la bandiera americana sulla Luna nel 1969, si è detto a favore. Ma per far sì che il viaggio non sia di sola andata, bisogna risolvere alcuni nodi: dalle radiazione atomiche solari all’approvvigionamento di acqua

Dalla Terra a Marte: viaggio di sola andata, senza più ritorno. La cruda realtà che aspetta i primi volontari che partiranno per l’avventura spaziale verso il pianeta rosso è stata annunciata nel corso di una conferenza al MIT da Buzz Aldrin, uno dei due astronauti che nel 1969 a bordo dell’Apollo 11 misero piede per primi sulla Luna. Aldrin ha confessato in un libro pubblicato un anno fa, dal titolo “Missione Verso Marte”, che ha cominciato a sognare il prossimo sbarco proprio mentre aveva gli scarponi piantati sul cratere lunare del Mare della Tranquillità: «Il nostro pianeta visto da lì - ha scritto Aldrin - era chiaramente parte dello spazio celeste, in intima comunità con tutti gli altri corpi immersi nel buio. Dallo spazio viene la nostra storia, e nello spazio c’è il nostro futuro».
Il sogno di Aldrin è oggi il progetto del gruppo olandese Mars One, che ha promesso il lancio della missione per il 2022. La società sta raccogliendo domande di adesione tra aspiranti cosmonauti-colonizzatori, mentre il Massachusetts Institute of Technology elabora i piani scientifici necessari per realizzare l’impresa. I moduli per la richiesta sono a pagamento, il che lascia sospettare che le 100.000 persone che le hanno presentate abbiano intenzioni serie di lasciare la Terra, in un viaggio che qualcuno ha già definito suicida.
I PROBLEMI
Il primo dei problemi, e anche quello principale, è l’eccessiva esposizione alle radiazioni atomiche solari. Il protocollo della Nasa prevede che un astronauta non possa ricevere nel corso dell’intera carriera una dose superiore a 1 sievert, una misura che corrisponde al 3% di aumento della probabilità di sviluppare un tumore. Anche nelle migliori condizioni, nel corso dei 450 giorni necessari per andata e ritorno, l’accumulazione sarebbe già di 0,66 sievert, senza contare il tempo di permanenza nella base. 
La durata della missione è il secondo punto critico. Marte e la Terra hanno diverse orbite siderali, che fanno sì che la distanza tra i due corpi celesti si accorci pressappoco ogni 26 mesi, quando le condizioni sono ottimali per un lancio con il minimo dispendio di carburante. Ma nelle condizioni attuali il costo di una missione è talmente alto (si parla di 6 miliardi di dollari), da rendere antieconomica una permanenza di soli otto mesi dei primi quattro astronauti che dovrebbero partire il 2024. Difficilmente si riuscirebbe a trovare fondi per una seconda spedizione che sostituisca l’equipaggio in così breve tempo. Da qui la condanna ad una permanenza molto più lunga.
Il primo equipaggio a raggiungere il pianeta rosso dovrà entrare nei moduli ad aria pressurizzata che spedizioni precedenti avranno lasciato sulla superficie del pianeta. Dovranno montare i 3000 mq. di pannelli solari che alimenteranno la base; poi preoccuparsi di generare acqua sciogliendo il ghiaccio di superficie, e dall’acqua ricavare l’ossigeno indispensabile per la sopravvivenza. Il compito sarà agevolato dalla contemporanea creazione di una serra popolata da piante, ma si teme che lo spazio disponibile sia troppo limitato per garantire ossigeno, e al tempo stesso il cibo necessario per nutrire i pionieri. Infine la prolungata esposizione alla ridotta forza di gravità sulla superficie marziana sarà causa di diversi problemi di salute, primo tra i quali un calo progressivo della vista.
LE POSSIBILITÀ
Vale la pena di rischiare così tanto per un’avventura dai confini ancora così incerti? Buzz Aldrin non ha alcun dubbio: «Se non ci mettiamo al lavoro subito per rendere possibile questo viaggio, rischiamo di non poterlo più fare in futuro». Questo concetto è stato espresso con maggiore chiarezza da un altro dei sognatori del nostro tempo, l’imprenditore-inventore Elon Musk, che alla Mars One dovrebbe fornire i vettori SpaceX Heavy fabbricati dalla sua agenzia spaziale privata. «Possediamo già la tecnologia necessaria per questo viaggio, - dice Musk - ma non dobbiamo illuderci che la conoscenza ci assista per sempre: ricordiamoci che gli egiziani hanno eretto le piramidi, e poi hanno dimenticato come farlo. Vale la pena di dedicare a quest’impresa almeno l’1% delle risorse mondiali. L’umanità deve decidere se vuole concentrare tutte le uova in un solo paniere: la Terra, o se vale la pena di disperderci su più pianeti». La seconda opzione ci darebbe maggiori probabilità di sopravvivere ai disastri ambientali, a cominciare da quello che noi stessi stiamo infliggendo alla nostra biosfera.