Il Sole 24 Ore, 28 ottobre 2014
Banche, Italia ultima negli aiuti di Stato. Tremonti e Monti bond pesano appena per lo 0,2% del Pil: un’inezia a livello europeo
Il risultato dell’esame della Banca centrale europea sulle banche dell’eurozona ha fatto scalpore sui mercati finanziari soprattutto per l’esito riguardante le banche italiane. I quattro istituti per i quali sono state rilevate carenze di capitale dovranno farvi fronte, con i piani che presenteranno nelle prossime due settimane, con 3,3 miliardi di euro, un terzo circa dello shortfall complessivo calcolato dalla Bce.
Anche se si tratta di una cifra non trascurabile, va vista anche nel confronto con altri Paesi e soprattutto alla luce dell’uso di fondi pubblici per i salvataggi bancari, che in Italia, anche per le condizioni del bilancio statale, è stato modesto (a seconda delle stime, fra lo 0,1 e lo 0,3% del prodotto interno lordo, sostanzialmente i Tremonti e i Monti bond) e altrove, ma particolarmente nei Paesi europei considerati «virtuosi», molto esteso, dopo l’esplosione della crisi finanziaria globale nel 2007. A dare il la ai salvataggi bancari in Europa è stata la Germania.
La situazione del sistema bancario italiano è spesso e non del tutto correttamente messa a confronto con la Spagna, colpita assai più duramente dallo scoppio della bolla immobiliare, e che nel pieno della crisi ha fatto ricorso agli aiuti europei, contando su 40 miliardi di euro (ma ne erano disponibili fino a 100 miliardi) per ricapitalizzare le proprie banche. Si è dovuta in questo modo sottoporre a una pesante ristrutturazione e al giudizio della troika che proprio un mese fa ha dato la sua valutazione finale sul programma. Avendo appena ricevuto una patente di complessiva buona salute, sarebbe stato curioso che la Bce, uno dei tre membri della troika, procedesse ora a massicce bocciature delle banche spagnole.
Negli altri Paesi che hanno dovuto far ricorso ai programmi europei, Irlanda, Cipro e Grecia, il collasso del sistema bancario è stato così massiccio da dover ricorrere a ingenti finanziamenti pubblici (aggravato nel caso di Dublino dalla garanzia a tappeto per 400 miliardi di euro estesa dal Governo). Il Portogallo, che aveva subito un impatto tutto sommato modesto sulle banche, ha ora dovuto sobbarcarsi un esborso di 4,9 miliardi di euro per il Banco Espirito Santo travolto da uno scandalo.
Le storie più istruttive sono però quelle del «centro» dell’eurozona. L’Austria, che già aveva mobilitato il 4,7% del prodotto interno lordo, secondo cifre dell’Fmi, per il settore bancario, dovrà aggiungere un altro 7% per il fallimento di Hypo Alpe Adria. In Olanda, l’aumento lordo del debito pubblico per i salvataggi bancari ha toccato il 18,7% del pil.
Ma il caso più eclatante è la Germania, dove la stagione dei salvataggi bancari è stata inaugurata già nel 2008 con l’Ikb, coinvolta nella crisi dei mutui subprime americani, e diverse Landesbanken, gli istituti regionali fortemente compromessi con la politica. Queste restano il ventre molle del sistema: l’Hsh di Amburgo si è salvata all’esame della Bce soprattutto in virtù delle garanzie statali. Berlino ha poi anche attivato, una prima volta nel 2008 e una seconda nel 2012, un fondo salva-banche, la Soffin, con una dotazione di 400 miliardi di euro di garanzie e 80 miliardi per ricapitalizzare direttamente le banche. Il principale beneficiario è stata la Commerzbank, nella quale sono stati iniettati 18 miliardi di euro e che resta al 17% controllata dallo Stato. Con il suo bilancio a prova di deficit, che consente esborsi anche pesanti per salvare le banche, Berlino si fa però scudo di fronte a tutte le critiche.