Corriere della Sera, 28 ottobre 2014
Ieri sera, a Otto e Mezzo, Matteo Renzi si scaglia contro Susanna Camusso: «Trovo veramente surreale che la segretaria della Cgil voglia trattare la legge di Stabilità con il governo. I sindacati devono trattare le condizioni dei lavoratori con le imprese. Non devono trattare le leggi con il governo a cui spetta scriverle e trattare su di esse con il Parlamento»
Ospite di Lilli Gruber, al suo rientro televisivo a Otto e mezzo, Matteo Renzi ha ripetuto con toni più piani i concetti di sempre. Più garbati perché ora il premier ha un solo assillo: che il Jobs act passi in commissione Lavoro della Camera, dove i numeri sono più ballerini di quella del Senato, e la minoranza del Pd è più forte, senza stravolgimenti.
A quel punto, secondo lui, la strada è in discesa, perché in Aula non ci sarà problema. Dopodiché, toccherà alla legge di Stabilità, quindi all’Italicum, che Renzi conta di approvare al Senato entro dicembre.
A La7 il premier è stato molto duro solo con Susanna Camusso: «Trovo veramente surreale che la segretaria della Cgil voglia trattare la legge di Stabilità con il governo. I sindacati devono trattare le condizioni dei lavoratori con le imprese. Non devono trattare le leggi con il governo a cui spetta scriverle e trattare su di esse con il Parlamento. Dopodiché noi possiamo anche ascoltare le organizzazioni sindacali ma solo se hanno da dirci qualcosa sul merito dei provvedimenti».
Insomma, una cosa per Camusso deve essere chiara: «I governi che hanno trattato i ddl con i sindacati hanno sbagliato. Le leggi non si fanno trattando con le organizzazioni confederali. È ora di finirla di pensare di poter bloccare il lavoro dell’esecutivo. Se si vuole farlo i sindacalisti si facciano eleggere in Parlamento, dove non si troverà da solo, perché di ex colleghi ce ne sono tanti...». Il passaggio più duro Renzi lo dedica a Camusso. Per il resto, i toni sono meno aspri. «Rispetto» per la piazza di sabato e per chi vuole fare un «raggruppamento di sinistra più radicale», anche se il premier è convinto che non andrà oltre la percentuale della lista Tsipras alle Europee: «Loro presero il 4,3 e noi il 40,8». Già, perché la verità è che il presidente del Consiglio non crede al partito di Landini e lo lascia intendere chiaramente: «Io lo stimo, abbiamo molte idee diverse, ma mi piace dialogare con lui, è un sindacalista». Come a dire non si mischierà in un raggruppamento raffazzonato di sinistra.
C’è però un punto su cui Renzi è d’accordo persino con Susanna Camusso e Stefano Fassina: lui, come loro, non è «d’accordo con le affermazioni di Davide Serra». «Il diritto di sciopero è sacrosanto», ribadisce il premier-segretario.
Ma questo è l’unico punto d’incontro, perché quando si tratta di parlare di riforma elettorale Renzi ribadisce il suo punto di vista: «Io sono a favore del bipartitismo». E rincara la dose: «Il potere di veto dei piccoli partiti ha distrutto l’Italia». È per questo che, raccontano nel Transatlantico di Montecitorio, ha mandato in avanscoperta il suo braccio destro e sinistro Luca Lotti e il vicesegretario Lorenzo Guerini per convincere Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini che sono di fronte a un bivio: o stanno con lui o vanno (cosa altamente improbabile) con Berlusconi. Altrimenti con le loro percentuali rischiano di non andare da nessuna parte.
Quindi l’Europa dei «burocrati e dei funzionari» a cui annuncia che darà del filo da torcere perché «l’Italia non è lo studente svogliato» eternamente ripetente. Ma per far questo bisogna mandare in porto le riforme. Un messaggio nemmeno tanto indiretto ai dissidenti del Pd, che cerca di ammansire dicendosi sicuro che non sono «animati da spirito di vendetta». E che comunque fatica a vedere insieme a quel Grillo secondo il quale la mafia tempo fa aveva una sua morale.
Li rassicura, anche. Niente elezioni anticipate: «Io voglio dimostrare che si possono fare le cose e far ripartire l’Italia. O governo bene o me ne vado a casa». Ma il sotto testo di questa frase sembra essere questo: se non mi lascerete fare le cose, a cominciare dal Jobs act, allora chi potrà escludere le elezioni? E per la minoranza, senza più un seggio assicurato, sarebbero problemi.