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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

La «Jihadi Dawa» (ovvero «invito a praticare la guerra santa») si serve di internet per arruolare nuovi adepti o per dare indicazioni ai lupi solitari su come attaccare l’Occidente: «Usate i coltelli e se non li avete investite civili con le auto». Ce lo spiegano Mubin Shaikh, ex reclutatore dei taleban, e Aymenn Jawad al-Tamimi, ricercatore alla Oxford University


L’attacco al Parlamento canadese da parte del jihadista Michael Zehaf-Bibeau, convertito all’Islam, alza il velo sul metodo con cui il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi riesce a beffare i più sofisticati sistemi anti-terrorismo dei Paesi occidentali.
L’ex reclutatore dei taleban Mubin Shaikh, oggi collaboratore della sicurezza canadese, lo riassume con l’espressione «Jihadi Dawa» ovvero «invito a praticare la guerra santa».
Per comprendere di cosa si tratta bisogna ascoltare Aymenn Jawad al-Tamimi, il ricercatore della Oxford University che da due anni analizza ogni mossa del «Califfo Ibrahim»: «Si serve del web per diffondere in maniera sofisticata e professionale l’invito alla Jihad adoperando non solo i siti estremisti tradizionali ma anche i social network, riuscendo a trasformare la sua ideologia in un contagio». Se l’Al Qaeda delle origini si limitava a postare messaggi video del leader Osama Bin Laden e filmati di addestramenti, ora la «Jihadi Dawa» si nutre di dissertazioni sul Corano, possibilità di dialogare sui social network e video altamente professionali per spiegare non solo come si combatte o additare i nemici da colpire ma anche per descrivere le aspettative di vita nello Stato Islamico. 
Proprio tale sovrapposizione fra Jihad e nuove tecnologie è all’origine del crescente successo con le donne - da Denver a Parigi - perché i reclutatori sono abili, attraverso i social network, a guidare le «conversazioni» in maniera da spingere ragazze adolescenti a «cercare la felicità, un marito e dei figli nel Califfato» spiega al-Tamimi. Ciò spiega la moltiplicazione della minaccia di «lupi solitari» rispetto alla stagione in cui Al Qaeda colpiva nelle capitali europee, da Madrid a Londra, con gruppi organizzati. 
«Isis non dispone ancora di basi organizzate, capaci di mettere a segno attacchi sofisticati - spiega un alto funzionario europeo da Londra - e dunque adopera il web per diffondere un’ideologia tesa a radicare il proprio messaggio nelle comunità musulmane in Occidente». Ma Mubin Saikh aggiunge: «I video che postano online sono di tale qualità che non possono essere confezionati a Raqqah o Mosul». Da qui l’ipotesi, all’esame di più agenzie anti-terrorismo, che Isis sia riuscita a creare in Europa e in Nordamerica dei centri di produzione di propaganda digitale, pensati e realizzati per fare breccia nei musulmani o convertiti europei. E spingerli ad attacchi che possano mettere in difficoltà i governi impegnati nei raid sul Califfato. Con qualsiasi arma: «Usate in coltelli - è l’invito - e se non li avete investite i civili con le auto». Si spiega così anche il testo di una circolare inviata a prefetti e questori italiani dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza nel quale si invita a porre la «massima attenzione» per «evitare gesti emulativi ed estemporanei di singoli soggetti» che potrebbero entrare in azione anche nel nostro Paese. 
È un timore che nasce anche dai risultati dell’inchiesta australiana sull’arresto della cellula che si proponeva di mozzare teste di passanti catturati a caso in una strada di Sydney.
L’altro esempio viene dal Sinai, dove i jihadisti di «Bait al-Maqqdis» dopo aver giurato fedeltà al Califfo, hanno iniziato a decapitare i militari egiziani catturati affermando di «richiamarsi agli esempi di esecuzioni diffuse sul web da Isis», premunendosi di precisare che «non abbiamo avuto contatti diretti».