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 2014  ottobre 20 Lunedì calendario

Tfr, da gennaio la liquidazione in azienda ha offerto l’1% contro il 6% dei fondi pensione. Ma la tassazione che sale dall’11,5% al 20% rischia di indebolire il sistema

La pensione di scorta corre e stacca decisamente il Tfr. Ma le norme previste dal governo con la bozza della legge di Stabilità che prevedono di portare il prelievo annuo sui rendimenti dei fondi pensione dall’11,5 al 20%, varata nei giorni scorsi, rischiano d’indebolire il sistema. 
Risultati
Nei primi nove mesi dell’anno si è attestato al 6% il rendimento medio offerto dai fondi pensione negoziali, aziendali o di categoria. I migliori rendimenti sono stati ottenuti dai comparti più aggressivi, tutti in doppia cifra. 
Il Tfr (il 6,91% della retribuzione lorda) nello stesso periodo ha reso invece l’1%, al netto dell’aliquota dell’11%: la liquidazione mantenuta in azienda si rivaluta con un tasso dell’1,5%, più il 75% dell’indice del costo della vita. La deflazione che caratterizza il nostro paese ha portato a un risultato cui non si assisteva da molti anni a questa parte: la rivalutazione del Tfr è stata ottenuta solo grazie alla quota fissa (appunto l’1,5%), rapportata ai primi nove mesi dell’anno. 
Tra i risultati dei fondi di maggiore dimensione spiccano il 13,2% e il 13,1% ottenuti, rispettivamente, dalla linea azionaria di Fopen (dipendenti del gruppo Enel) e dalla linea bilanciata azionaria di Fonchim (industria chimica). 
Un ottimo risultato è stato ottenuto anche dai fondi pensione aperti (promossi da compagnie d’assicurazione, banche, sim e sgr), che nei primi nove mesi del 2014 hanno reso in media il 6,1%. I dati sono ricavati dalla banca dati di Morningstar, che comprende 94 fondi e 448 linee d’investimento, in pratica la quasi totalità del mercato. 
Malgrado il ritocco (scattato il 24 giugno scorso) nella tassazione sulle performance, passata dall’11% all’11,5%, la previdenza integrativa conferma insomma il suo andamento positivo. E anche nel medio termine vince alla grande sul Tfr: fra il primo gennaio 2000 e il 30 settembre scorso, tutti i tre fondi chiusi maggiori esistenti all’inizio del periodo considerato hanno battuto nettamente il 47,5% della liquidazione. Il migliore è stato Fondenergia (energia e petrolio) con il 68,1%, seguito da Cometa (industria metalmeccanica e orafa) con il 61,5% e da Fonchim (chimica e farmaceutica) con il 59,5%. 
Se i rendimenti ottenuti sono di tutto rispetto, però, la previdenza complementare stenta a decollare, anche a causa della crisi economica. In base ai dati della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione, guidata da Rino Tarelli), al 30 giugno scorso gli aderenti erano 6,386 milioni (di cui 4,446 milioni dipendenti privati), grosso modo un lavoratore su quattro. 
Sorpresa negativa
La bozza della legge di Stabilità prevede, però, due misure che rischiano di compromettere lo sviluppo di un sistema che per milioni di lavoratori sarà sempre più necessario: la prima è la possibilità, anche per gli iscritti ai fondi pensione, di ottenere in busta paga per tre anni l’accantonamento futuro del Tfr, che rappresenta la principale fonte di contribuzione. La seconda è un balzo in avanti (dall’attuale 11,5% al 20%) della tassazione sui rendimenti annuali degli strumenti previdenziali. 
«Se saranno confermate, queste due misure rappresenteranno una pesante ipoteca sullo sviluppo del settore — sottolinea Michele Tronconi, presidente di Assofondipensione (l’Associazione dei fondi aziendali e di categoria) —. Negli ultimi anni le casse previdenziali hanno offerto un rendimento medio annuo del 2,8%, decisamente superiore alla rivalutazione del Tfr. E, come si è visto, il risultato positivo si è confermato anche nei primi nove mesi dell 2014». 
Un brusco stop allo sviluppo della previdenza complementare, inoltre, avrebbe un altro, pesante effetto collaterale. «I rendimenti positivi sono stati ottenuti grazie a scelte gestionali molto prudenziali, che hanno privilegiato soprattutto i titoli di Stato dell’area dell’euro — spiega Tronconi —. Come fondi pensione ci siamo posti il problema di aumentare gli investimenti nell’economia italiana, in particolare nelle piccole e medie imprese; un rallentamento nella crescita dei patrimoni rischia di rallentare questo processo»