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 2014  ottobre 09 Giovedì calendario

Shin, nato in un gulag nordcoreano e fuggito quando aveva 23 anni, ha raccontato all’Onu di come gli bruciavano le carni

All’improvviso Shin chiude gli occhi. Forse si è addormentato. Davanti a lui c’è una tavola imbandita: riso con verdure, calamari, noccioline glassate, patate. Ha mangiato tanto. Perché il cibo è tutto. «Quando hai fame non pensi. A stomaco vuoto non esiste pensiero, non esiste libertà». Così ci aveva detto un’ora prima. Ma ora è stanco. Sulle braccia ci sono ancora le cicatrici di quando, da adolescente, fu torturato dalle guardie del Campo 14. Il più feroce, il più celebre, il più grande, il peggiore dei campi di lavoro e reclusione della Corea del Nord, una specie di abisso di ferocia in mezzo alla dittatura più misteriosa e reclusa della Terra. Le sue gambe sono lievemente arcuate, per colpa delle catene a cui venne appeso. Mani da una parte, piedi dall’altra. Sotto, una tinozza di carboni ardenti. Shin sentì l’odore della sua stessa carne bruciata.Alcuni giorni fa Shin Donghyuk ha parlato alle Nazioni Unite, su invito del segretario di Stato Usa John Kerry. Il giornalista e scrittore americano Blaine Harden, per tanti anni firma di punta del Washington Post e poi del New York Times , ha raccontato la sua storia in un libro, Fuga dal campo 1-4, che è diventato una specie di caso internazionale, uscito ora anche in Italia grazie a Codice edizioni. Nascosto tra le montagne e il fiume Taedong, il Campo 14 è un immenso gulag nel quale vivono, lavorano e prevalentemente muoiono oltre 50 mila detenuti. L’unico paragone calzante è quello dei lager nazisti. Solo che questo si trova a circa 80 chilometri da Pyongyang, dove oggi governa — o dovrebbe governare — il “supremo leader” Kim Jong-un, coetaneo di Shin: le due facce della Corea del Nord, dicono in molti. Parla veloce, Shin. È l’unico prigioniero nato e cresciuto in un campo nordcoreano che sia riuscito a fuggire. Parlare, oggi, è lo scopo della sua vita.Shin, lei è nato nel Campo 14.Fino al giorno in cui è fuggito, a 23 anni, non sapeva niente di quel che c’era “fuori”. Come se l’immaginava il mondo?«Non sapevo che ci fosse un mondo, fuori dai recinti. Nessuno mi raccontava niente, e io comunque non ci pensavo mai. Non avevo il tempo di pensarci. Si lavorava sempre, tutto il giorno. Lavori pesanti. Non avevo il permesso di pensare».Parlando con Blaine Harden, all’inizio lei non ha voluto rivelare che aveva denunciato il tentativo di fuga di sua madre insieme a suo fratello. Perché?«Spiare è la prima delle regole dentro il campo. Fa parte della lotta per la sopravvivenza. Chi non denuncia un tentativo di fuga viene fucilato. Chi compie atti sessuali non autorizzati viene fucilato. Chi ruba viene fucilato. Spesso, quando ti danno la scelta di prendere botte o perdere la propria razione di cibo si sceglie di prendere le botte. Mia madre rubava un chicco di riso al giorno ».Lei era prigioniero del campo per una “colpa” commessa dai suoi genitori, vero?«Io non ho mai saputo perché i miei genitori stessero nel campo. Dopo alcuni anni di prigionia erano stati selezionati per essere sposati: una specie di premio di produttività. Per questo sono nato io. Però non ho ricordi speciali. Qualche volta sogno mia madre. So che l’ho sognata, ma sono sogni che poi non ricordo».Forse perché quando Shin ven-ne fatto uscire dalla cella in cui era stato tenuto per settimane, più morto che vivo, fu subito por-tato in un luogo che conosceva be-ne: il piazzale delle esecuzioni. La prima volta che c’era stato aveva quattro anni. Ma stavolta quelli sul patibolo erano sua madre e suo fratello. Prima che l’impiccassero, la madre cercò il suo sguardo. Lui lo distolse. A suo fratello spararono in testa.Lei ora crede in una qualche religione, ha trovato da qualche parte un Dio da pregare?«Frequento una chiesa cristiana. Però sto ancora studiando. Sto approfondendo il pensiero religioso di Gesù. In Corea del Sud per un po’ sono andato in un tempio buddista. Ma mi sono reso conto che non basta la fede. La gente segue il cristianesimo, ma nessuno è riuscito ad impedire l’Olocausto».Cosa intende dire, Shin?«Intendo dire che per esempio durante la seconda guerra mondiale si era venuti a sapere dei campi di concentramento, ma in pochi ci credevano. Non si è passati all’azione. Questo vale anche per i massacri in Cambogia, in Sudan o in Kosovo. Dopo, il mondo ha punito i responsabili, ma le vittime non sono tornate in vita. Furono milioni. La gente cattiva agisce subito, la gente buona non agisce. Non subito, almeno. Confrontate il numero dei morti, è sempre la stessa cosa».Ha un’idea di quello che sarà il suo futuro?«Sto facendo tutti questi viaggi... non so. Non so immaginare il futuro. Ma voglio dire ancora una cosa».Prego.«È importante. Poco tempo fa alcuni politici italiani sono andati a Pyongyang, su invito del regime. Gli hanno fatto vedere solo cose positive. Questi politici (tra cui Razzi e Salvini, ndr) sono tornati dicendo che il mio paese è come la Svizzera. È sbagliato. Per capire cosa succede davvero in Corea del Nord dovete andare alle stazioni ferroviarie, dove lungo i binari si trascinano fiumi di bambini, orfani, che muoiono di fame. Dove ci sono le donne che, per cifre ridicole, vengono vendute ai cinesi».