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 2014  ottobre 09 Giovedì calendario

Ma sono più invisibili i poveri o i ricchi? Ricordando un celebre articolo di Dwight MacDonald

Mezzo secolo fa, un famoso articolo pubblicato dalla rivista New Yorker, dal titolo “I nostri poveri invisibili”, prendeva di petto il mito allora diffuso secondo cui l’America era una società ricca con solo qualche “sacca di povertà”. Per molti quei dati sulla povertà furono una rivelazione e Dwight Macdonald (l’autore dell’articolo) probabilmente contribuì molto più di chiunque altro a preparare il terreno per la Guerra alla Povertà di Lyndon Johnson. Io non credo che oggi i poveri siano invisibili, anche se a volte si sente dire che non vivono davvero in povertà (ehi, ci sono certi che hanno l’Xbox!). È al contrario: oggi sono i ricchi a essere invisibili.Ma come, direte voi, se metà della programmazione televisiva è dedicata a descriverci spasmodicamente gli stili di vita, reali o immaginari, dei ricchi e fatui? Sì, ma quella è la cultura della celebrità e non significa che l’opinione pubblica abbia una chiara percezione di chi sono i ricchi e quanti soldi guadagnano. Anzi, la maggior parte degli americani non ha semplicemente idea di quanto disuguale sia diventata la nostra società. L’ultima prova in questo senso è un sondaggio che ha chiesto a persone di diversi Paesi quanto guadagnassero, secondo loro, gli alti dirigenti delle aziende più importanti rispetto a un lavoratore non qualificato. Negli Stati Uniti la risposta è stata che gli amministratori delegati guadagnano circa trenta volte di più dei loro dipendenti: cosa che negli anni 60 era più o meno vera, non fosse che da allora il divario si è allargato enormemente, al punto che oggi un amministratore delegato guadagna qualcosa come trecento volte quello che guadagna un semplice lavoratore. Insomma, gli americani non hanno idea di quanto sono pagati i Padroni dell’Universo.Fino a quando il movimento Occupy è riuscito a trasformare l’”1 per cento” in uno slogan di successo, era fin troppo comune sentire importanti editorialisti e uomini politici parlare della disuguaglianza come se fosse soprattutto una questione di livello di istruzione, o come se si stesse parlando delle differenze tra il 20 per cento più ricco della popolazione e il restante 80 per cento. E perfino l’1 per cento è una categoria troppo ampia: i guadagni davvero grossi sono andati a un’élite ancora più ristretta. Per esempio, recenti stime indicano non solo che l’1 per cento più ricco è diventato molto più ricco rispetto a tutti gli altri (dal 25 per cento della ricchezza complessiva nel 1973 al 40 per cento adesso), ma che il grosso di questo aumento ha beneficiato lo 0,1 per cento più facoltoso, cioè un americano su mille.Le persone veramente ricche sono così distanti dalla vita del cittadino comune che non vediamo mai quello che hanno. Possiamo accorgerci dei ragazzi del college che guidano macchine di lusso, ma non vediamo i direttori dei fondi di private equity che si spostano in elicottero tra l’ufficio e le loro megaville negli Hamptons, la zona superesclusiva nella punta di Long Island. I vertici della nostra economia sono invisibili perché sono troppo in alto, oltre le nuvole. Le eccezioni sono le celebrità, che vivono la loro vita in pubblico. E chi difende la disuguaglianza estrema quasi sempre cita gli esempi delle star del cinema o dello sport. Ma le celebrità rappresentano solo una minuscola frazione dei ricchi, e anche le star più famose guadagnano molto meno dei baroni della finanza, la categoria più rappresentata all’apice del reddito. Per esempio, secondo Forbes, Robert Downey Jr. è l’attore più pagato degli Stati Uniti, con 75 milioni di dollari guadagnati l’anno scorso. Sempre secondo Forbes, nel 2013 i 25 direttori di hedge fund più ricchi hanno portato a casa in media quasi un miliardo di dollari ciascuno.Eppure, almeno finora, la lotta contro la disuguaglianza estrema non è un tema di quelli che fanno vincere le elezioni. Forse sarebbe così anche se gli americani conoscessero i dati reali sulla nostra nuova Gilded Age. Ma non lo sappiamo. Oggi l’equilibrio politico poggia su una base di ignoranza, in cui l’opinione pubblica non ha la più pallida idea della reale natura della nostra società. (Copyright The New York Times Traduzione di Fabio Galimberti)