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 2014  ottobre 09 Giovedì calendario

De Magistris era in malafede però continua a fare il sindaco, magari convocando la giunta in un ristorante

Ma che gli frega a lui delle regole. Il tribunale di Roma ha reso note le motivazioni della condanna a 1 anno e 3 mesi per Luigi De Magistris (abuso d’ufficio) ma il dettaglio che l’abbiano sospeso da sindaco di Napoli è cosa secondaria, sono cavilli e pastette. Il gabinetto del Sindaco e l’ufficio stampa, il giorno stesso in cui fu sospeso, cioè una settimana fa, lo diedero tranquillamente presente a una mostra con la dicitura di «sindaco sospeso»: risolto il problema. Da allora De Magistris si è limitato ad aggiungere l’aggettivo «sospeso» e ha fatto tutto come prima, anzi, pare che stia progressivamente sparendo anche l’aggettivo: «La parola al sindaco», è stata l’introduzione a un suo intervento all’associazione dei professionisti napoletani, l’altro giorno. E via così, non tralasciando nessun palazzo della politica (e mostra, teatro, museo) e fermandosi solo davanti alla firma degli atti, così pare. Già, ma il resto? L’altra sera De Magistris ha convocato la giunta in una masseria della periferia, a Chiaiano: solo che una manina insolente ha postato le foto su Facebook. E chi è stato, chi ha osato postarle? Lui: le foto le ha pubblicate lui, lo splendido, il rivoluzionario. Le regole e i formalismi sono robetta di cui gli chiede conto solo quella marmaglia che sta all’opposizione: il Pd ha chiesto al prefetto e alla procura di «valutare un divieto di dimora a Napoli» per l’ex sindaco, pardon: per il sindaco sospeso, pardon: per il sindaco, pardon: per De Magistris. Forza Italia invece si è chiesta se lui stia usando ancora auto e cellulare di servizio. l’Italia dei Valori - suo ex partito - ne chiede le dimissioni, altro che sospensione. Ma chi se ne frega, già ieri mattina alle 7.26 De Magistris comunicava via Twitter che «lotterò per trionfo giustizia», testuale. E a proposito di giustizia: ecco le famose motivazioni della sentenza che il tribunale di Roma ha depositato per giustificare la condanna dell’ex magistrato e del consulente Gioacchino Genchi, colpevoli in primo grado di aver abusato dell’acquisizione di utenze telefoniche di alcuni parlamentari. Tabulati che, secondo i giudici, sono stati acquisiti nella consapevolezza che si riferissero a parlamentari («violazione consapevole») e questo «oltre ogni ragionevole dubbio», scrivono a pagina 3 delle motivazioni. Non solo: «Gli imputati selezionavano talune utenze di interesse anziché altre», si legge. Secondo il giudice Rosaria Iannello ogni buona fede è da escludere, al punto che i due «non chiesero autorizzazione alla Camera pur di acquisire i tabulati», «la logica era quella di procedere senza rispettare le garanzie per cariche parlamentari, affatto sconosciute, e di giustificare ex post le violazioni che fossero emerse». A parte l’errore di scrittura da parte del giudice («affatto» significa «del tutto», non il contrario) nelle anticipazioni di stampa di vere prove non se ne leggono, si saltano cioè le evidenze probatorie e si passa direttamente alle conclusioni. Quando disponibili in toto, andranno lette interamente le 90 pagine delle motivazioni. Per ora apprendiamo che, secondo il giudice, i due selezionavano i tabulati e si riservavano in un secondo tempo di chiedere un’eventuale autorizzazione. Quando furono acquisiti i tabulati di Romano Prodi, per dire, il professore era già diventato premier oltreché deputato: ma «anche alla stregua dei dati di traffico illegittimamente acquisiti» il presidente del Consiglio veniva indagato. Stesso discorso per l’allora guardasigilli Clemente Mastella e per tutti gli altri. «L’obiettivo degli imputati era quello di conoscere il traffico dei parlamentari... per incrociarne le risultanze e collegare le inferenze di traffico con informazioni bancarie e localizzazioni, così da tracciare contatti, relazioni, movimentazioni degli onorevoli». Ciò che è normale fare con gli indagati: ma i parlamentari non erano indagati, non ancora. Occorreva un’autorizzazione e i due acondannati non l’avevano, fine. Non puoi fare la rivoluzione con cavilli e regolette: ma secondo De Magistris e Genchi, forse, non puoi fare neanche le inchieste.