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 2014  ottobre 09 Giovedì calendario

Siamo forse all’ultimo grado delle istituzioni. In altri tempi, se le Camere si dimostravano incapaci di svolgere le loro funzioni, venivano sciollte

Non tutto è chiaro in questa fase della vita repubblicana. Il problema, s’intende, non sono i tafferugli al Senato a margine del voto di fiducia sulla riforma del lavoro: era ovvio che i Cinque Stelle non si sarebbero fatti sfuggire l’occasione di creare scompiglio, anche se il loro comportamento non fa che confermare l’assenza di una strategia politica. In definitiva le risse in aula fanno parte di certi passaggi-chiave della vita nazionale e si può pensare, pur con qualche dubbio, che la riforma di Renzi lo sia.
In ogni caso la fiducia era scontata e ha chiuso il cerchio. La minoranza del Pd non poteva fare altro che adeguarsi, salvo un paio di casi personali. Cerchio doppiamente chiuso per il premier. Eppure le ombre restano sullo sfondo e sono poco rassicuranti. Non riguardano l’attività di governo in senso stretto, bensì la vita del Parlamento e la salute delle istituzioni. Gli indizi non mancano. Da un lato vediamo un presidente della Repubblica che osserva amareggiato – sono sue parole – le due Camere che non riescono o non vogliono eleggere due giudici della Corte costituzionale. In tal modo il Parlamento «si auto-priva della facoltà attribuitagli dalla Costituzione di concorrere alla formazione della più alta istituzione di garanzia». 
Dall’altro lato si osserva con sbigottimento l’incessante tentativo di delegittimare la presidenza della Repubblica e di squalificare lo Stato sul punto sensibile del rapporto con la mafia. In realtà tutti sono stati colti di sorpresa dalla procura di Palermo che ritiene perfettamente normale chiamare Riina e Bagarella ad assistere alla testimonianza di Napolitano. Ma i commenti dei politici non riescono a trasmettere il senso di indignazione e tanto meno di rivolta contro un’iniziativa il cui effetto oggettivo è la destabilizzazione a tutto vantaggio dei mafiosi imputati. «Incomprensibile» e «inspiegabile» sono gli aggettivi ricorrenti, riferiti al passo dei pubblici ministeri palermitani, e sembrano abbastanza blandi, forse nel timore di pronunciare una parola troppo forte verso il potere giudiziario.
Il risultato complessivo è un senso di impotenza. Napolitano non riesce a ottenere che il Parlamento eserciti le sue prerogative costituzionali sulla Consulta. E lo stesso Napolitano deve subire un’umiliazione da parte della procura di Palermo senza che il mondo politico sappia o voglia difenderlo con l’energia che un tempo sarebbe stata doverosa. Tutto diventa nebbioso e la "vulgata" corrente vuole che questo accade perché il capo dello Stato è al termine del suo mandato, avendo egli manifestato l’intenzione di ritirarsi entro pochi mesi.
Ma intanto la legge elettorale è ferma da qualche parte, forse anch’essa inghiottita dalla nebbia. E la stessa controversa riforma del Senato rischia di affondare nelle sabbie mobili, dal momento che risente dei ritardi del Parlamento. È un altro grave elemento di incertezza. In altri tempi, se le Camere si dimostravano incapaci di svolgere le loro funzioni, venivano sciolte. E l’impossibilità di eleggere due giudici della Corte sarebbe un ottimo motivo per sciogliere. O almeno per minacciare di farlo. Ma l’Italia aspetta la riforma elettorale che ancora non c’è. Così come aspetta la riforma del Senato, il cui tragitto è lunghissimo. Così il Parlamento si trasforma in una fortezza Bastiani e il Quirinale è sempre più esposto e sempre più inquieto.