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 2014  ottobre 01 Mercoledì calendario

Tigri, elefanti, balene. In 40 anni è sparita la metà degli animali

È stato presentato il Living Planet Report 2014. Esce con cadenza biennale e fa il punto sullo stato degli ecosistemi naturali del nostro pianeta, aggiornando i dati sulla biodiversità, sul consumo di risorse naturali e sull’impronta ecologica che imprimiamo alla Terra. Una mole importante di dati, prodotta con rigore scientifico da istituzioni e centri di ricerca. Una mole di dati che richiede tempo per essere esaminata in dettaglio, ma che già a una prima scorsa rivela una situazione ambientale grave. Colpisce, tra l’altro, il severo declino della maggior parte delle popolazioni animali monitorate. Oltre 10 mila specie di vertebrati sono state messe sotto osservazione dal 1970 al 2010: in media, il calo è stato del 52 per cento. Un esempio su tutte, la tigre ridotta a 3 mila esemplari. Erano centinaia di migliaia solo un secolo fa. 
L’esempio della tigre non è fatto a caso. Perché a pagarla cara sono soprattutto i predatori. Nelle reti alimentari occupano la posizione apicale, hanno specifiche ed elevate esigenze metaboliche, sviluppano raffinati specialismi comportamentali, sono perlopiù di taglia grande e, forzatamente, in numero esiguo. Va da sé che sono le specie che più rapidamente vanno in crisi. E con loro va in crisi la stabilità dell’intero ecosistema: esplosione numerica delle prede, diffusione di malattie, impatto devastante sulla vegetazione. 
È un paradigma dell’ecologia. Il declino di queste specie deriva principalmente dalla forte riduzione, unitamente al degrado, del loro habitat, ma anche dal permanere di antiche, barbare pratiche. La caccia ha ancora oggi un impatto notevole, come il traffico di oli, unguenti estratti da esemplari sacrificati allo scopo. Nell’affascinante saggio La tigre (Einaudi) John Vaillant racconta come ancora oggi gente della taiga siberiana tragga profitto cacciando il felino per vendere poi oltre confine, ai cinesi, la materia prima per quei preparati. Vale una Toyota l’abbattimento di una tigre. 
Lo stesso declino si registra per quella splendida e variegata schiera di animali di taglia gigantesca. Intendo elefanti, ippopotami, rinoceronti, balene. La loro mole è stata evolutivamente vincente, perché potenza fisica, unita magari a corna o zanne acuminate, scoraggiano anche il più abile predatore. Oggi però è la nostra specie che domina. Con gli oltre 7 miliardi di individui, l’uomo ha occupato interamente il pianeta ed è la prima causa di distruzione degli habitat e di sottrazione di spazio vitale alle altre specie. Il gigantismo oggi è quasi un handicap e ha definitivamente smesso di portare i vantaggi di un tempo. Anche per queste specie poi, elefante e rinoceronte soprattutto, c’è la maledizione delle zanne e dei corni. Strumenti di difesa per tutta la loro storia evolutiva, sono ora quel tocco in più disgraziatissimo che li sta portando all’estinzione. 
L’allarme riguarda sia gli ecosistemi acquatici che quelli terrestri. Dati drammatici vengono dagli ambienti tropicali. Del resto è proprio in quelle aree che si concentra una parte importante della biodiversità della Terra. La fascia temperata è stata ampiamente saccheggiata e ora la pressione dell’uomo insiste su nuove aree, incontaminate, alla spasmodica ricerca di risorse. Dal rapporto emerge con chiarezza che per mantenere il livello attuale di consumo che stiamo facendo del pianeta, avremmo bisogno in realtà di una Terra e mezzo. Dove la troviamo? 
Il Living Planet Report in fondo non fa altro che confermare ciò che da anni la scienza ha ipotizzato: è in atto sul pianeta una sesta estinzione. La differenza con le cinque grandi estinzioni del passato è che questa è causata da un’unica specie, la nostra.