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 2014  ottobre 01 Mercoledì calendario

L’energia come arma geopolitica

L’America deve usare le sue ampie risorse di petrolio e “shale gas” per liberare l’Europa dall’aggressione russa». La più esplicita (e roboante) dichiarazione a favore di un uso geopolitico della crescente produzione americana di energia da idrocarburi l’ha data pochi giorni fa il governatore repubblicano del Texas Rick Perry che ha chiesto al Congresso di superare l’attuale divieto all’export di prodotti petroliferi (salvo quello verso pochi Paesi legati da trattati commerciali) che oggi blocca tutto. Visto che anche il presidente democratico Barack Obama da anni promette di utilizzare l’arma energetica a sostegno della politica estera degli Stati Uniti, muoversi in questa direzione non dovrebbe essere poi così difficile. Perry, che accusa la Casa Bianca di eccessive prudenze, la mette su un piano militare: «L’energia oggi è un’arma in mano agli aggressori» (intende i russi, ndr). «Quindi, se l’energia deve essere usata come un’arma, l’America deve avere l’arsenale più vasto. E dobbiamo usarlo non per opprimere le altre nazioni, ma per aiutarle a essere libere». Il problema – politico all’interno del Congresso e geopolitico al Dipartimento di Stato - è che non tutti la vedono così: le organizzazioni dei consumatori che temono che con l’export di petrolio i prezzi interni possano salire e una parte dell’industria petrolifera (soprattutto chimica e raffinerie) stanno esercitando un’azione di «lobbying» molto energica per bloccare la proposta di legge governativa che mira a eliminare il divieto all’export petrolifero: una norma che risale a 40 anni fa, legata a condizioni di mercato e di valore strategico degli approvvigionamenti molto diverse da quelle attuali. 
All’estero sono in molti a sospettare che lo stesso Obama giochi su due tavoli: all’estero promette energia a buon mercato (non solo all’Europa soggetta alle pressioni russe: ad esempio anche il premier indiano Modi, ieri alla Casa Bianca, ha il problema dei prezzi del gas, altissimi in tutta l’Asia meridionale), mentre in casa non si dà da fare più di tanto per modificare una situazione che offre grossi vantaggi alle imprese americane (con conseguenti ricadute positive per l’occupazione). In realtà il governo qualcosa sta facendo: concede autorizzazioni all’export con qualche forzatura interpretativa delle norme. Ma per creare le infrastrutture necessarie per l’export ci vorranno, comunque, anni.