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 2014  settembre 30 Martedì calendario

Scriviamo mentre, al termine del dibattito nella Direzione del Pd, si sta stilando un documento capace di raccogliere il maggior numero di consensi, o almeno l’approvazione dei renziani e, probabilmente, dei giovani turchi, e l’astensione degli altri, magari con il voto contrario dei soli civatiani

Scriviamo mentre, al termine del dibattito nella Direzione del Pd, si sta stilando un documento capace di raccogliere il maggior numero di consensi, o almeno l’approvazione dei renziani e, probabilmente, dei giovani turchi, e l’astensione degli altri, magari con il voto contrario dei soli civatiani. Ci lavorano Lorenzo Guerini, Roberto Speranza, Guglielmo Epifani e Cesare Damiano. Spaccature non dovrebbero essercene, ma qualche dramma sì. Si sono ascoltati discorsi molto duri, e un D’Alema che rivolto a Renzi gli ha più o meno detto: «Matteo non credere che siano tutti ignoranti, che nessuno sappia le cose. Qualcuno che le cose le sa c’è, ed è quella l’opinione pubblica più qualificata». Un modo per respingere la tesi di Renzi secondo cui l’articolo 18 sta lì da 44 anni e nessuno fino ad ora l’ha mai toccato. «È stato riformato due anni fa» ha detto D’Alema «e prima di intervenire di nuovo bisognerebbe almeno raccogliere i dati necessari a capire quali risultati ha avuto quella riforma» realizzata dalla Fornero.

•   Procederei per ordine. Cominciando dal discorso del segretario.
Il segretario, che in mattinata era salito al Quirinale, ha pronunciato un discorso non diverso da quello che abbiamo sentito nei giorni scorsi: invito a superare i tabù per arrivare a «una profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare» che abbia al proprio centro «i nuovi deboli». «La rete di protezione si è rotta, non va eliminata ma ricucita, sapendo che c’è uno Stato amico che li aiuta». I punti chiave sono due: il governo sta lavorando perché «il tfr possa essere inserito dal primo gennaio 2015 nelle buste paga, attraverso un protocollo tra Abi, Confindustria e governo per consentire un ulteriore scatto del potere di acquisto». L’Abi è l’associazione che riunisce le banche. Anticipare mezzo Tfr nelle buste paga vuol dire costringere le imprese a saldare subito un debito che sarebbe andato in scadenza tra molti anni, cioè strangolarle finanzioariamente. Per questo, se davvero si vuol procedere su questa strada, è essenziale un sostegno finanziario da parte delle banche, che avranno a loro volta bisogno di una copertura dello Stato. Rete Imprese Italia, che riunisce le organizzazioni delle piccole imprese e degli artigiani, s’è già dichiarata contro: «È impensabile che le piccole imprese possano sostenere ulteriori sforzi finanziari, come quello di anticipare mensilmente parte del tfr ai dipendenti».  

E il secondo punto?
«L’attuale sistema del reintegro va superato, certo lasciandolo per i licenziamnti discriminatori e disciplinari». È un allargamento notevole dell’ipotesi iniziale, che lasciava il reintegro per i soli licenziamenti discriminatori. E tuttavia Cgil, Cisl e Uil - che non hanno ancora trovato una linea comune né hanno raggiunto un accordo per una manifestazione unitaria - non sono ancora soddisfatte. La Cgil giudica l’intervento di Renzi «ancora vago, indefinito e contradditorio». La Uil minaccia lo sciopero generale se il governo dovesse rimuovere tutele che già esistono. Mentre Bonanni giudica interessanti le aperture di Renzi.  

Quali aperture, a parte l’allargamento delle tutele ai licenziamenti disciplinari?
Per la prima volta Renzi ha detto che è pronto a discutere con Cgil, Cisl e Uil. «Sono pronto a confrontarmi con i sindacati a Palazzo Chigi. Li sfido su tre punti: una legge sulla rappresentanza sindacale, la contrattazione di secondo livello e il salario minimo». Bocconi difficili da ingoiare tutti e tre, anche se la legge sulla rappresentanza sindacale è addirittura prevista dalla Costituzione.  

Quali sono stati gli interventi più critici nei confronti di Renzi?
Quello più duro è stato Bersani, che ha respinto ogni ipotesi di «prendere o lasciare». «Noi sull’orlo del baratro non ci andiamo per l’articolo 18. Ci andiamo per il metodo Boffo, perchè se uno dice la sua, deve poterla dire senza che gli venga tolta la dignità. Ai neofiti della ditta dico che non funziona così. Io voglio poter discutere prima che ci sia un prendere o lasciare, prima che mi si carichi della responsabilità di far traballare un partito o il governo. Secondo me in questa delega lavoro c’è un deficit di capacità riformatrice. Noi abbiamo fatto riforme hard, non mi si venga a dire che non abbiamo fatto niente. Non ci trema il polso, ma con questa riforma perdiamo un’occasione. Non si può raccontare che non ci sono occupati per colpa dell’articolo 18. Dobbiamo ricostruire una base produttiva».  

Civati uscirà o no?
Ha detto: «Ieri sera in tv io ho visto un premier
che diceva cose di destra, simili a quello che diceva la destra dieci anni fa. Chiedo se qualche emendamento delle minoranze vedrà il favore del Pd perchè è anche da questo che si vede il tono della mediazione».