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 2014  settembre 29 Lunedì calendario

Caltagirone: «Roma deve reagire al declino Bisogna cambiare, come Milano»

Cosa rappresenta Roma per l’ingegner Franco Caltagirone, imprenditore ed editore de «Il Messaggero »? 
«È la città in cui sono nato e cresciuto, anche economicamente. Fa parte della mia identità. Sento di doverle molto. Amo la grandissima storia che ha alle spalle e per questo soffro assistendo alla sua attuale decadenza. Non è certo questione di due o tre anni fa…» 
Un film come La grande bellezza di Paolo Sorrentino… 
«…un gran film». 
Ecco, e pone un problema: tanto splendore non basta. 
«Certo che non basta per una città contemporanea. Questi magnifici residui del passato, che continuano a stupire il mondo e incarnano una simile “bellezza”, sembrano quasi alla ricerca del genius loci che permise a Roma di farsi padrona del mondo conosciuto nel suo tempo». 
A proposito: cosa pensa della pedonalizzazione dei Fori voluta dal sindaco Ignazio Marino? 
«Sono dispiaciuto. Perché il poter passare ogni giorno di fronte alle radici stesse della città e di una così grande civiltà sprona a grandi cose e ne mantiene un legame vivo, attuale. Chiuderle in un recinto museale rende i romani simili ai molti turisti che arrivano in città. Si accentua la fruizione estetica ed archeologica e non si coglie lo spirito di quello che è stato. Mi pare, quindi, un errore togliere quella Roma ai romani». 
Lei, domani, presenterà ai Musei Capitolini con Alessandro Barbero Diocleziano (Salerno Editrice). Cosa la affascina di quella figura storica? 
«Diocleziano si oppone alla decadenza, cerca di ritrovare la forza che consentì a una piccola città di fondare un impero e farlo durare. Restaura il sistema dei confini, li rende sicuri, combatte le bande che imperversano nell’impero, attua la riforma fiscale e dei prezzi, ripristina il sistema duale del potere. Un tempo due consoli, con Diocleziano due imperatori. Poi i suoi successori tradiscono il progetto. Augusto ebbe ben più fortuna, con chi lo seguì al potere». 
Lei parla di decadenza di Roma, per i nostri tempi. Roma è la Capitale del nostro Paese... 
«Certo, i mali di Roma fanno parte dei mali d’Italia, e in più Roma ha i mali di Roma. Cosa ci ha portato a questo punto? Impossibile sintetizzare rapidamente. Il punto di fondo è l’espansione dell’indebitamento, realizzato non per investire a favore dei figli e del loro futuro ma per favorire i consumi e garantire rendite in cambio di voti. Uscirne è complicato. Churchill promise lacrime e sangue assicurando la vittoria. E mantenne entrambi gli impegni. Oggi è difficile qualsiasi intervento perché nessuno vuole cedere sul proprio interesse particolare. E ora, col ricambio generazionale, si è assai poco disposti al sacrificio per ottenere il successo. Si è persino pronti a rinunciare a quel successo pur di non sacrificarsi». 
Pensa che Matteo Renzi si stia muovendo bene? 
«Sì. Renzi sta mostrando pochissima disponibilità ad essere manipolato, e gli va riconosciuto. È dotato poi di una grande energia e di un forte desiderio di risolvere i problemi. Ed è giusto che non si arrenda a quella continua mediazione tipicamente italiana. A tavola c’è un bicchiere per l’acqua e uno per il vino. Se si mescolano i due liquidi, si ottiene una bevanda assai mediocre. Insomma, l’assidua mediazione è nemica dell’eccellenza. Soprattutto se si tratta non di idee ma di interessi». 
Arriviamo alla crisi di Roma. Che genere di crisi vede? 
«Io posso avere la più bella Ferrari del mondo ma senza carburante non mi serve a niente. Roma è sicuramente la più bella città del Pianeta ma oggi le manca il carburante. Un tempo era per esempio la sede dell’Iri, dell’Ina, della Stet, della terza banca italiana cioè il Banco di Roma… e sono solo alcuni esempi, potrei continuare a lungo. Oggi Roma ha meno banche di una capitale di un piccolo Paese come Lisbona o Atene». 
Questa perdita come si traduce per Roma? 
«Nella fine di una cultura industriale. Nella mancanza di indispensabile formazione nelle aziende e nelle scuole di personale dirigenziale, che è alla base di quella fine. Chi emerge progetta spesso di andare a Londra o quanto meno a Milano. E poi ha giocato in negativo la riduzione del peso dello Stato centrale, della devoluzione di molte mansioni alle Regioni e l’emigrazione di grandi realtà fuori Roma forse non difesa abbastanza dai precedenti sindaci. Meglio Milano: al declino dell’industria ha risposto attirando terziario e servizi. Applausi». 
Qual è la qualità dei suoi rapporti con l’attuale sindaco Marino? A Roma si parla di tante tempeste, di scontri… basti citare i casi di Acea e Metro C… 
«Una premessa. Ai tempi del duello Alemanno-Rutelli un suo collega mi chiese un parere e io suggerii discontinuità. Non era affatto una valutazione politica, ideologica. Ma ho sempre pensato che una presenza troppo lunga al potere del medesimo sistema favorisca le incrostazioni clientelari, le lobby. Quando seppi di Marino, mi sembrò l’ennesima scelta verticistica di un partito che mandava lì un proprio uomo per poterlo manovrare. Non è stato così». 
Perché? 
«Lo hanno chiamato il Marziano a Roma, perché sconosciuto ai più. Conoscendolo, ho scoperto che non è certo un marziano. Penso possa rappresentare un valore per Roma se continuerà con la sua indisponibilità ad essere manovrato, se si circonderà di persone di livello come ha cominciato a fare. Sono insomma convinto che possa contribuire a moralizzare questa città, per togliere di mezzo le famose incrostazioni, dalle piccole ai grandi sistemi. E ciò nonostante l’assoluta carenza di fondi e le notevoli difficoltà pratiche». 
Cosa pensa di Zingaretti? 
«Sta facendo un buon lavoro in un posto difficile come la Regione». 
Lei parlava del suo legame con Roma. Ha un progetto particolare? 
«Darò vita a una fondazione culturale dedicata a mia madre Giuseppina Cacciatore Caltagirone. Si occuperà della conservazione e della valorizzazione della memoria. La scommessa sarà sulle nuove generazioni, quindi sarà essenziale il rapporto con le università italiane e straniere. L’ho già detto. Per farcela bisogna anche sapersi sacrificare. È un valore da riproporre. Un po’ come fece Diocleziano… ».