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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

Renzi La Qualunque

Se Matteo Renzi fosse un editorialista del Corriere della Sera, ad esempio un Francesco Giavazzi o un Alberto Alesina, il discorso fatto ieri in Parlamento sarebbe perfetto e meriterebbe la prima pagina. Ma il presidente del Consiglio non è un commentatore di via Solferino bensì il capo di un governo che quasi sette mesi fa si presentò alle Camere promettendo una riforma al mese. Ricordate? Scandendo bene le parole il premier assicurò che avrebbe cambiato verso all’Italia, cominciando dalla scuola per finire alla giustizia. Come siamo messi con gli edifici in cui studiano i nostri figli si sa. Nonostante le rassicurazioni le aule cadono a pezzi e gli alunni rischiano quando prendono posto nei banchi. Secondo quanto riferiscono le cronache, delle opere di ristrutturazione che avrebbero dovuto essere concluse con l’inizio dell’anno scolastico solo un quinto è avviato e in qualche città, per esempio Torino, gli interventi si contano sulle dita di una mano. Non va meglio con le altre riforme. Tranne pochi provvedimenti adottati per decreto, quasi tutto è fermo sul binario a scartamento ridotto del dibattito parlamentare. Sempre per rimanere in ambito istruzione, la riforma della scuola è allo stato attuale solo un libro dei sogni in quanto oltre alla presentazione non c’è altro. Non un disegno di legge, non una bozza che consenta di capire qualche cosa di più delle frasi fatte. C’è sì un piano per assumere un esercito di precari, ma questa non si può certo definire una riforma, semmai una sanatoria o una manovra elettorale.
Il lavoro, argomento che faceva parte del programma presentato a febbraio, quando Renzi chiese la fiducia, è stato preso di petto solo a parole. Di certo c’è la cosiddetta Garanzia Giovani, ossia un pacchetto di misure per i ventenni in cerca d’occupazione, che finora però non ha dato risultati. Sull’articolo 18, la flessibilità, gli incentivi e la produttività, invece siamo alle chiacchiere. Il presidente del Consiglio parla come ha fatto ieri a Montecitorio di necessità di riscrivere le regole del settore, abolendo l’«apartheid» che premia con l’inamovibilità una minoranza di lavoratori e lascia privi di tutele tutti gli altri. E però alla lucida analisi della situazione non seguono i fatti, con il risultato che siamo alla diagnosi del male più che alla sua cura. I disoccupati continuano ad essere tali, gli occupati – anche quelli nullafacenti – altrettanto. Mentre gli ammortizzatori sociali (intesi come cassa integrazione, mobilità e lavori socialmente utili) esistono solo per chi un posto ce l’ha già. Ieri il premier ha annunciato che ridurrà gli ammortizzatori per aumentare le chance di lavoro, ma gli strumenti per tenere in vita posti che non ci sono più aumentano invece che diminuire. Con il risultato che si pagano i lavoratori per restare a casa e non per cercare nuova occupazione, regalando le assunzioni meno richieste agli extracomunitari. Nel discorso dei mille giorni il presidente del consiglio non ha dimenticato la giustizia. Un po’ perché il suo candidato in Emilia è costretto a fare i conti con le procure e con gli scontrini presentati per i rimborsi e un po’ perché attaccare l’ultra Casta delle toghe è popolare. Così Renzi se l’è presa con le ferie dei magistrati, strappando come era facilmente immaginabile un applauso fra i deputati. E però oltre alla promessa di ridurre le vacanze dei giudici (promessa che però contraddice quella del ministro della Giustizia, il quale con l’Anm si sta rimangiando il taglia ferie), il capo del governo quasi nulla ha aggiunto a proposito di come intende migliorare l’efficienza dei tribunali. I fascicoli in attesa di giustizia sono milioni ma ciò nonostante per ora non c’è neppure un’idea precisa di come si faccia a smaltirli. Insomma, l’intervento di Renzi è stato come al solito brillante, pieno di battute e di giochi di parole («Non ci rassegniamo alla rassegnazione», «Non guardiamo in faccia a nessuno, guarderemo negli occhi tutti», tanto per restare alle principali), e però il presidente del Consiglio è sembrato un po’ meno sicuro di sé, un po’ meno certo di riuscire a farcela. È vero, ha parlato di mille giorni e di arrivare alla fine della legislatura (anche se qualcuno ha notato che alla scadenza naturale mancano non mille ma mille e trecento giorni), però in conclusione è stato costretto ad agitare lo spauracchio delle elezioni, spiegando che se non si fanno le riforme il voto si renderà necessario. Tuttavia dopo i primi mesi di governo, in molti pensano che votare sia il solo vero programma di Renzi. La campagna elettorale gli eviterebbe infatti di fare i conti con la realtà e in fondo tornare alle urne senza alcuna opposizione potrebbe essere più facile che scrivere un editoriale per il Corriere della Sera. Di certo gli riesce meglio che governare.