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 2014  agosto 10 Domenica calendario

Obama sta bombardando l’Iraq settentrionale, nel tentativo di fermare l’avanzata dello pseudocaliffo al Baghdadi e dei miliziani dell’Isis

Obama sta bombardando l’Iraq settentrionale, nel tentativo di fermare l’avanzata dello pseudocaliffo al Baghdadi e dei miliziani dell’Isis. C’è però un problema: il presidente degli Stati Uniti ha imperniato tutta la sua politica estera sull’assunto che gli americani si sarebbero ritirati dall’Iraq e dall’Afghanistan e avrebbero rinunciato al ruolo di gendarmi del mondo. Una delle frasi di maggior successo pronunciate da Barack nel corso di questi anni descriveva la riluttanza di questo presidente a considerarsi commander in chief. E adesso, invece, bombarda.

Come lo spiega?
Ha rivolto un messaggio agli americani. I punti salienti sono questi: «I raid proseguiranno fino a che sarà necessario. Non credo che basteranno settimane per risolvere la situazione in Iraq. Ma non torneremo in Iraq. Come comandante in capo (il commander in chief che tanto gli pesa - ndr), non permetterò che gli Stati Uniti siano trascinati in un’altra guerra in Iraq. Le truppe americane non torneranno a combattere lì perché non c’è una soluzione militare americana alla crisi. Gli Stati Uniti non possono e non devono intervenire ogni volta che c’è una crisi. Ma quando innocenti si trovano ad affrontare un massacro e noi abbiamo la possibilità di prevenirlo, gli Stati Uniti non possono guardare da un’altra parte». Il presidente s’è poi fatto intervistare dal New York Times e s’è rivolto alle varie fazioni irachene: «saremo vostri partner, ma non faremo il lavoro al posto vostro. Non invieremo nuovamente le nostre truppe sul terreno per mantenere il coperchio sulle cose. Dovrete mostrarci che avete la volontà e siete pronti a mantenere un governo iracheno unito e fondato sul compromesso».  

Dunque, la notizia davvero importante è questa: non ci saranno altri marines in Iraq. E però: si può respingere un assalto, vincere una guerra operando solo dal cielo?
A terra dovrebbero combattere curdi e iracheni governativi. Dei curdi siamo sicuri, abbiamo persino un bilancio di morti tra i loro peshmerga (al momento 150). Sulle truppe irachene, invece, il mistero è assoluto. Anzi, da quello che sappiamo, uno dei punti di debolezza della situazione è l’inesistenza, dal punto di vista professionale, delle truppe di Baghdad, facilmente travolte, finora, dai sunniti di al Baghdadi. Registriamo però questa dichiarazione del generale iracheno Babaker Zebari: «Ci saranno enormi cambiamenti sul terreno nelle prossime ore, e i militari e i peshmerga curdi riconquisteranno terreno nei confronti degli jihadisti. Le forze aeree americane stanno prendendo di mira le basi dello Stato islamico a Makhmur e nella zona di Sinjar. Ufficiali dell’esercito iracheno, i peshmerga ed esperti americani stano lavorando insieme per selezionare gli obiettivi».  

In concreto, che vantaggi ha portato questo intervento americano (oggi siamo al terzo giorno)?
Gli americani si muovono su due piani, uno militare e uno - per dir così - civile. Sul piano militare, droni e jet hanno preso di mira la zona intorno a Khazar, tra Erbil e Mosul. Siamo in pieno Kurdistan iracheno. Mosul, e la sua diga, sono in mano degli islamisti. A Erbil gli americani hanno una sede diplomatica. Un comunicato del Pentagono sostiene che i sunniti di al Baghdadi sono stati colpiti ed eliminati con successo. Deve essere vero, perchè in un altro comunicato i jihadisti insultano gli americani e li invitano a venire a combattere con i soldati e non con i droni, in modo da «essere umiliati un’altra volta, come è sempre stato».  

E sul piano civile?
Sul piano civile, l’aviazione americana sta lanciando sulle montagne che circondano Sinjiar viveri e acqua. In particolare: due aerei C-130 e un C-17, scortati da due caccia F-18, hanno sorvolato l’area a bassa quota lanciando ottomila pasti pronti e ventimila litri di acqua potabile.  

A beneficio di quelli che sono scappati sulle montagne per sfuggire alla persecuzione sunnita?
Sì, i cristiani e i membri della comunità yazida. A Koja, Hatimiya e Qaboshi i miliziani hanno circondato trecento famiglie yazide, quattromila persone, e pretendono la conversione immediata all’Islam o passeranno tutti per le armi. Ci sono reazioni da parte della comunità internazionale. Il Papa ha nominato Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, suo inviato personale in Iraq «per esprimere la sua vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e portare loro la solidarietà della Chiesa». Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato all’unanimità un appello affinché la comunità internazionale sostenga il governo iracheno nella lotta contro i persecutori delle minoranze religiose. In effetti, questo è un punto debole di al Baghdadi: dietro di lui non c’è nessuno, né i russi né i cinesi. Persino i qaedisti eredi di Osama lo avversano.