Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

Manca poco all’annuale relazione del governatore della Banca d’Italia, e intanto da qualche giorno Tremonti è subissato da analisi negative della situazione economica italiana

Manca poco all’annuale relazione del governatore della Banca d’Italia, e intanto da qualche giorno Tremonti è subissato da analisi negative della situazione economica italiana. Ha cominciato Standard and Poor’s, la famosa agenzia di rating, tagliando l’outlook del Paese da stabile a negativo…

• Lei si deve fermare subito…
Okay, “outlook”. Traduciamolo con “prospettiva”. Secondo S&P la prospettiva italiana è negativa, vuoi per le faccende politiche («il potenziale ingorgo politico potrebbe contribuire ad un rilassamento nella gestione del debito pubblico») vuoi perché il Paese cresce poco e non è competitivo. S&P stima un aumento del Pil inferiore alle previsioni di Tremonti, dice che paghiamo troppi interessi sul debito e che siamo a questo punto anche troppo esposti sull’estero (782 miliardi di euro, per quanto riguarda il settore pubblico). L’altro giorno è stata la volta dell’Istat: il Paese, economicamente parlando, è tornato indietro secondo l’Istat di dieci anni, il 25 per cento degli italiani, cioè 15 milioni di persone, è povero o a un passo dalla povertà, con una concentrazione della miseria nel Mezzogiorno e condizioni punitive per giovani e donne, il confronto con Francia e Germania ci vede naturalmente perdenti, eccetera. Ieri infine è stata la volta della Corte dei Conti: la recessione del 2008-2009 ci ha lasciato un’eredità pesante, «si è verificata una perdita permanente di prodotto, calcolata a fine 2010 in 140 miliardi» e che diventerà di 160 nel 2013. «Per rispettare i nuovi vincoli europei sul debito occorrerà un intervento del 3% all’anno, pari, oggi, a circa 46 miliardi nel caso Italia. Si tratta di un aggiustamento di dimensioni paragonabili a quello realizzato nella prima parte degli anni Novanta per l’ingresso nella moneta unica».

• Significa che ogni anno Tremonti dovrebbe togliere dalle nostre tasche 46 miliardi di euro?
Per come l’ha messa giù la corte, sì. Tremonti sta preparando tagli per una quarantina di miliardi, ma in più anni. 46 miliardi in un colpo solo è però tutta un’altra cosa. Traducendo i 46 miliardi di euro in lire (e ammettendo che il cambio sia lo stesso di dieci anni fa) si ottengono 90 mila miliardi, numero che corrisponde alla manovra Amato del 1992, quella che tra l’altro ci tolse il 6% dai conti bancari in una sola notte (9-10 luglio 1992). La Corte però sbaglia, non si trattò di una manovra per entrare nell’euro (il trattato di Maastricht entrò in vigore nel 1993), ma di un colpo micidiale dato alle nostre tasche per fronteggiate le speculazioni sulla lira, che l’avevano fatta uscire dallo Sme. Il tasso d’interesse venne portato al 15%... In ogni caso, la Corte prevede che dovremo abituarci a prelievi annuali di questa forza ed esclude quindi qualunque intervento di riduzione del carico fiscale.

• Ma ha ragione?
Tremonti ha dato torto a tutti. Su Standard & Poor’s: «Le valutazioni espresse e confermate nei giorni scorsi dalle principali organizzazioni internazionali sono molto diverse da quelle espresse da Standard & Poor’s». Tremonti ha negato anche l’ingorgo politico. Sui dati Istat relativi alla povertà: «So che ci sono i poveri ma francamente credo che quella rappresentazione sia discutibile. Tutte le statistiche dicono che in questo decennio la ricchezza non è scesa ma è salita». Sulla relazione della Corte dei Conti, che sottolinea anche lei l’insufficienza della crescita: «Forse la crescita non è sufficiente, ma senza la tenuta di bilancio non ci sarebbe stata neanche questa insufficiente crescita».

• Eppure, a confrontare i numeri di adesso con quelli del 1992 sembrerebbe che siamo sempre lì: 90 mila miliardi (o centomila) di tagli vent’anni fa, altrettanti adesso.
I centomila miliardi del 1992 valgono oggi poco meno di 80 miliardi di euro (sto adoperando le tabelle di conversione dell’Istat). Il prelievo ipotizzato dalla Corte dei Conti corrisponde perciò, in valore reale, alla metà di quello dell’epoca Amato.

• Ma potrebbe accadere questo?
Il debito viaggia verso i 1900 miliardi di euro ed è obbligatorio tagliarlo. La Corte dei Conti sottolinea la necessità di un avanzo primario robusto, cioè una differenza più netta tra entrate e uscite. Questo significa tagli, cioè togliere denaro dalla circolazione. Ma i tagli provocheranno una caduta della domanda, perché la gente con meno soldi in tasca si guarderà bene dal fare acquisti. Questo farà sì che altre aziende, con un fatturato sempre più basso, dovranno chiudere i battenti, creando disoccupati e contribuendo a loro volta al calo della domanda… Come si evita tutto questo? Ah, saperlo.