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 2014  gennaio 28 Martedì calendario

Biografia di Francesco Nitto Palma

• Roma 3 marzo 1950. Magistrato. Politico.
Genitori siciliani (padre preside, madre insegnante di latino e greco). Divorziato, da Elvira (figlia di Ugo Dinacci, capo degli ispettori del ministero della Giustizia dal 90 al 96, all’epoca di Mani Pulite), con cui ha avuto due figli, un maschio e una femmina (il primo avvocato, la seconda avviata alla professione forense). Prima di vincere il concorso in magistratura (77), vincitore di sei concorsi pubblici, nell’ordine: carriera direttiva del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, degli Archivi Notarili, dell’amministrazione degli Istituti di Prevenzione e Pena, commissario di Pubblica Sicurezza, carriera direttiva amministrativa dell’Amministrazione Civile dell’Interno.
Magistrato Prime funzioni da magistrato, come giudice presso il Tribunale di Vicenza, dal maggio 78 al settembre 79 (svolge l’istruzione formale del processo contro l’autonomia operaia veneta). Dal settembre 79 al gennaio 93 è sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Roma (si occupa di criminalità organizzata, traffico di stupefacenti e terrorismo ed entra nella direzione distrettuale antimafia). È pm contro il terrorismo nero (NAR 1 – Terza Posizione), rosso (Guerriglia Comunista, Moro Ter, Insurrezione Armata contro i poteri dello Stato da parte delle Brigate Rosse, covo di Via Monte Nevoso 2), antimafia (Pizza Connection, Nuova Camorra Organizzata, Green Ice, Frank Coppola, Nitto Santapaola ecc. ecc. ), e indaga sui reati contro la pubblica amministrazione (comune di Roma, fondi neri Cia e Kgb). Dal gennaio 93 al dicembre 94 e dal gennaio 96 al febbraio 2001 è sostituto procuratore nazionale presso la Direzione Nazionale Antimafia (dal febbraio 96 al maggio 2000 applicato presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, dove svolge le funzione di PM, tra gli altri, nel procedimento “Guerra di ‘ndrangheta” - guerra tra cosche di Reggio Calabria nei primi anni 90 -, e nel processo “Porto di Gioia Tauro”).
Dal dicembre 94 al gennaio 96 svolge funzioni amministrative presso il Ministero di Grazia e Giustizia (Ministri Alfredo Biondi – Governo Berlusconi - e Filippo Mancuso – Governo Dini). Tra gli incarichi assunti: vicecapo di gabinetto e direttore dell’Ufficio Relazioni Internazionali (ma partecipa anche a diversi gruppi di lavoro, da quello sull’applicazione della Convenzione di Schengen, a quello sulla protezione dei magistrati più esposti alle minacce della criminalità organizzata).
Politico Dal 30 maggio 2001 svolge il mandato elettorale. Definito dai compagni di partito “Toga azzurra”. Eletto alla Camera nel 2001, al Senato nel 2006, 2008 e 2013 (Forza Italia, Pdl, di nuovo Forza Italia). Sottosegretario all’Interno del Berlusconi IV (2008-2011). Dal 27 luglio 2011 al 16 novembre 2011 ministro della Giustizia (nominato da Giorgio Napolitano, subentra ad Angelino Alfano, che si è dimesso dopo essere stato nominato segretario politico del Pdl). Dall’8 maggio 2013 presidente della commissione Giustizia al Senato.
Falcone Intervistato da Marco Nese per il Corsera, all’indomani della strage di Capaci, accusava CSM, ANM e politici. «Perché quella bomba? Potevano uccidere Falcone a Roma tranquillamente, mentre stavamo insieme a cena in un ristorante. Perché la mafia non fa nulla a caso. Anche il modo in cui uccide ha un significato, si voleva dare a quella morte un grande effetto intimidatorio. Vogliono terrorizzarci tutti. Mentre lo Stato manifesta solo incertezze, insicurezze.
Al Csm, per esempio, perdono tempo». A che cosa si riferisce? «Al modo in cui il Csm ha gestito la vicenda Orlando. L’ex sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, va al Csm e accusa Falcone e i giudici palermitani di aver tenuto nei cassetti le carte sui politici mafiosi. Un’accusa gravissima. Bisognava fare chiarezza subito, nel giro di un mese. Non aveva capito nulla Falcone, oppure non aveva capito nulla Orlando? E se aveva ragione Falcone bisognava trarne le conseguenze. Non si possono lanciare certe accuse e farla franca». Forse al Csm devono badare a mille cose. «Davanti a una storia così, si abbandona tutto il resto. Invece il Csm se l’è presa comoda, ha continuato con il solito tran tran. Nel frattempo Falcone veniva sottoposto a una pesantissima campagna denigratoria e diffamatoria. Lo hanno massacrato con le parole, prima che la mafia lo uccidesse». Ma perché tanta acrimonia nei confronti di quest’uomo? «Il fatto è che Falcone nella magistratura aveva pochi amici. Non era benvoluto. Anzi. A ogni occasione cercavano di fargli uno sgambetto. Falcone si presenta come candidato al Csm e solo pochissimi lo votano. Un insuccesso clamoroso. Concorre al posto di consigliere istruttore a Palermo. Niente, fatto fuori anche lì. Poi ci si mette il Corvo a scrivere quelle lettere incredibili per cercare di danneggiarlo. Un assalto continuo. Tutta invidia, io credo». E l’Associazione nazionale magistrati non lo ha mai difeso? «Figuriamoci. L’Anm è sempre stata in linea con gli umori della base, che potremmo definire la palude della magistratura. E la base non vuole magistrati di serie A e di serie B, non vuole superspecializzazioni. L’ambizione massima della base è tenere un basso profilo per tutti. Ma un magistrato non è un impiegato delle Poste». E i politici come si sono comportati? «Malissimo. Adesso fanno tutti gli amici, anche quelli che erano nemici. Ma, superato il momento emozionale dell’omicidio, noi potremmo assistere a una campagna diffamatoria di Falcone post mortem. Questo è il rischio. Quelli del Pds, per esempio, lo definivano il magistrato più bravo del mondo. Ma quando si candidò alla Superprocura, dicevano che non poteva occupare quell’incarico in virtù della sua dipendenza dal potere politico». (Corriere della Sera, 1/6/92).
Gladio Fin da quando è entrato nei palazzi della politica, a partire dagli incarichi amministrativi a via Arenula, quando era ancora magistrato, attaccato per avere «insabbiato» (sic “l’Europeo”), il caso Gladio. In realtà Palma non ha firmato alcuna richiesta di archiviazione che riguardi la struttura Stay Behind. Era tra i PM che parteciparono all’inchiesta, ma nel 92 fece polemica il Procuratore capo di Roma, Ugo Giudiceandrea, che volle firmare da solo la richiesta di archiviazione (ritenendo la struttura legittima perché ne erano a conoscenza tutti i presidenti del Consiglio dell’epoca), in quanto i collaboratori (oltre a Palma, Coiro, Ionta e Saviotti), avevano operato solo su aspetti specifici e su sua delega. Palma denunciò “l’Europeo” per aver detto il falso, ma perse la causa civile: «La sentenza riconobbe che non era vero che avevo archiviato Gladio, ma stabilì che il giornalista, non conoscendo la procedura penale, era incorso in errore scusabile».
• Via Monte Nevoso Il 28 maggio 2014 interviene nella discussione del disegno di legge sull’istituzione di una Commissione d’inchiesta sul caso Moro, dichiarandosi favorevole (l’iniziativa nasce dalle rivelazioni di un ispettore di polizia in pensione, Enrico Rossi, che, a seguito di una perquisizione eseguita su indicazione di una lettera anonima, ha ipotizzato l’intervento di due soggetti alle dipendenze dei servizi segreti in via Fani a copertura delle Br durante il sequestro Moro). Palma ricorda di essere stato il PM del procedimento originato dal ritrovamento casuale, nel 1990, della fotocopia del c.d. memoriale Moro, da parte di un muratore, durante la ristrutturazione dell’appartamento di via Monte Nevoso, a Milano, il covo delle BR scoperto nel 1978 nel corso di un blitz diretto dal generale Dalla Chiesa. Le carte scoperte nel 1990 erano diverse da quelle sequestrate nel 1978. «Nel fare quel raffronto tra via Monte Nevoso del 1990 e via Monte Nevoso del 1978 si deve considerare che molti furono gli interrogativi […] Per quale ragione le Brigate rosse nel 1978, essendo in possesso dell’originale, non fecero alcun cenno ai fondi del KGB al Partito comunista o della CIA alla Democrazia cristiana? Non era forse per loro questo, in quel momento, un argomento di fortissima propaganda politica?
Per quale ragione ancora le Brigate rosse di quel periodo nel 1978, pur avendo l’originale, la cui fotocopia è stata trovata nel 1990, non ebbero la tentazione di utilizzare quelle altre parti del memoriale Moro in cui si faceva riferimento alla struttura Stay Behind, cioè Gladio? Si badi bene, signor Presidente, non voglio entrare nella polemica che poi riguardò Gladio, ma nelle carte del memoriale Moro, quello integrale, si individuava una struttura nata e cresciuta in Italia dopo il 1953, tutta in funzione anticomunista. […] Ritenete che nelle carte dei vari processi Moro delle Brigate rosse e quant’altro non vi siano tanti punti oscuri in ordine a momenti di contatto tra le Brigate rosse e, senza tirare in causa apparati o altro, personaggi singolari, possibilmente vicini a determinati apparati dello Stato? Nelle carte di quei processi troverete le voci della diplomazia che indicavano quali erano gli interessi politici dell’epoca. E non è vero che hanno parlato: Moretti non ha detto una parola, ed era lui il responsabile dei rapporti internazionali delle Brigate rosse».
• Ricordato immancabilmente come il promotore, nel 2002, di una proposta di legge per reintrodurre l’immunità parlamentare, per favorire in particolare Cesare Previti. «Tutti nel Pdl se lo ricordano (...) così: “Ah, sì... l’amico di Previti!”». (f.bei-l.mi.) [Rep 26/7/2011]. Più e più volte ha spiegato che non era così. Intervistato da Riccardo Ghezzi il 12 agosto 2011: «Ho presentato una proposta di legge nel 2002 che non reintroduceva l’immunità parlamentare, ma andava ad intervenire su meccanismi che mostravano alcune lacune. Ad esempio, con l’attuale sistema, se è richiesta l’autorizzazione all’arresto per un parlamentare e la Camera non la concede perché ritiene ci sia il fumus persecutionis, la competenza del processo resta in ogni caso al magistrato che ha disposto l’autorizzazione a procedere. In base alla proposta di legge che ho presentato, invece, in caso di mancata autorizzazione all’arresto si sarebbe dovuto procedere ad uno spostamento di competenza territoriale».
• Nel 2007 interveniva così in aula contro la riduzione degli stipendi dei parlamentari: «A questo punto vi devo dire la verità non da parlamentare, ma da cittadino, da magistrato:

commetterete un grave errore, perché sicuramente verrete incontro alla demagogia e alla propaganda, a quella forma di antipolitica non più strisciante che pare pervadere il nostro Paese, ma non renderete un buon servizio alla politica. Ma davvero voi ritenete, a fronte di una critica così serrata e continua, spesso demagogica e propagandistica, che ha per oggetto, per l’appunto, le retribuzioni dei parlamentari, che vi salverete e vi laverete la coscienza sostenendo che per cinque anni lo stipendio, l’indennità parlamentare, non verrà adeguata allo stipendio di presidente di sezione di Cassazione? […] Dico questo perché oggettivamente corrisponde al mio pensiero e perché davvero in quest’Aula nessuno mi può tacciare di aver fatto un discorso nel mio interesse personale, avendovi già segnalato che a me resta sempre la possibilità di optare per l’indennità di presidente di sezione di Cassazione e conseguentemente di non subire gli stravolgimenti economici e democratici che voi volete in ogni caso apportare all’indennità: qui si fa politica, non consegnatevi all’antipolitica».
Libri Nel 2006 pubblica il romanzo Fatti onore a papà. Ambientato a Roma, il protagonista è Nicola Montechiari, avvocato di successo, che fa autoanalisi parlando con un gatto randagio.
• Appassionato di calcio, ha fatto parte del comitato organizzatore di Italia Novanta e dell’Ufficio indagini della Figc.
• Nel tempo libero «ascolto musica classica e rileggo un libro sulla beat generation americana o pagine di letteratura anarchica russa» (Fabrizio De Feo) [Grn 11/12/2011]. (a cura di Paola Bellone).