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 2012  novembre 26 Lunedì calendario

L’Ilva di Taranto chiude

• Dopo una nuova raffica di arresti, l’Ilva ha annunciato la chiusura della fabbrica di Taranto. I cinquemila operai sono lasciati fuori dai reparti che ancora erano aperti e messi in ferie forzate. I finanzieri hanno eseguito sette ordinanze di custodia cautelare tra carcere e domiciliari. E hanno sequestrato tubi, coils e bramme stoccate nell’impianto, notificando un avviso di garanzia al presidente Bruno Ferrante e all’attuale direttore di fabbrica Adolfo Buffo. A terra rimane oltre un milione di tonnellate di acciaio. Alla retata delle Fiamme Gialle sfugge Fabio Riva, ora latitante, figlio del patriarca Emilio, ai domiciliari visti i suoi 86 anni. In carcere, anche l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso e l’ex responsabile delle relazione esterne Girolamo Archinà. Ai domiciliari l’ex assessore provinciale di Taranto Michele Conserva. Sono accusati di aver fatto di tutto per sfuggire a controlli e indagini sull’inquinamento.  
• I sindacati reagiscono all’annuncio della chiusura invitando gli operai a non abbandonare la fabbrica. Ne è nato un presidio permanente all’interno, anche perché l’azienda ha disattivato i badge di ingresso. Chi è ancora dentro non vuole uscire perché. In serata altri cinquecento lavoratori si sono assiepati all’esterno della portineria. Alla fine Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato lo sciopero immediato di tutto lo stabilimento. [Diliberto, Rep]  
• Secondo i calcoli di Confindustria, con la chiusura dell’Ilva di Taranto i costi per la collettività, tra cassa integrazione, imposte e oneri sociali, «saranno quasi un miliardo di euro l’anno, mentre la perdita di potere di acquisto sul territorio di Taranto e provincia è stimabile in circa 250 milioni l’anno». Scrive Marro sul Cds che la chiusura dello stabilimento di Taranto «colpirebbe, innanzitutto gli altri stabilimenti del gruppo (Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica), quindi l’indotto (oltre ai 12 mila dipendenti diretti, ce ne sono tra i 5 e i 7 mila che vivono dei servizi che ruotano intorno al megastabilimento, il più grande d’Europa), e i clienti, che vanno dal distretto metalmeccanico di Brescia all’industria degli elettrodomestici, dai cantieri navali al settore dell’auto, dall’edilizia al comparto dell’energia. Tanto che Federacciai-Confindustria ha quantificato in una cifra oscillante tra 5,7 miliardi e 8,2 miliardi di euro le ripercussioni negative sull’economia nazionale. Cioè qualcosa che può valere mezzo punto del prodotto interno lordo». [Enrico Marro, Cds 17/11/2012]