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 2013  aprile 18 Giovedì calendario

Biografia di Alessandro Gottardo

• Vicenza 30 luglio 1964. Autore di fumetti.
• «(...) In Italia lo conoscono in pochi, negli Usa ha vinto una medaglia d’oro (...) È entrato nel gotha mondiale degli illustratori quando, a febbraio 2009, ha ricevuto il premio della Society of Illustrators, la più antica e prestigiosa associazione di categoria fondata nel 1901 da un gruppo di artisti tra cui Mark Twain e Gloria Swanson. Una medaglia d’oro, appunto: il massimo riconoscimento per un illustratore, quasi un Oscar, che ha premiato Gottardo nella categoria “libri” per la copertina del romanzo di Giorgio Vasta, Il tempo materiale (minimum fax). E che ha consacrato lo stile lineare, minimalista e concettuale del giovane illustratore italiano, originario di San Donà di Piave e noto con lo pseudonimo di Shout. Gottardo negli Usa è ormai una star, come dimostra l’elenco delle testate illustri con cui collabora: dal New York Times al Washington Post, da Newsweek al Time, dall’Economist a Esquire fino al Guardian e Le Monde. E come dimostrano i numerosi premi vinti: l’Usher Memorial Award 2007, il Good Design Award e il Gold award for Package & design 2008, oltre all’inclusione (...) come unico illustratore tra i venti migliori artisti visivi internazionali under 30 per la rivista Print Magazine. Qualche anno fa Gottardo è dovuto emigrare oltreoceano, per lo meno virtualmente, e “accontentarsi” di due soli clienti italiani: la casa editrice minimum fax e la rivista Internazionale. Una “matita” in fuga, che vive a Milano ma lavora via web con clienti soprattutto americani: magazine, studi di design e di animazione, agenzie pubblicitarie, case editrici. “L’illustrazione fa parte del patrimonio genetico statunitense (...) Ha iniziato a svilupparsi agli inizi del ’900 insieme alla fotografia e le due arti sono sempre andate avanti di pari passo. In Italia invece è arrivata negli anni ’50 come prodotto di importazione. Era al servizio della pubblicità, come nelle prime campagne Aperol o Campari. E da lì non si è mossa molto. Non cerco rivincite nei confronti dell’Italia. È un problema di cultura, non di cattiva volontà. L’illustrazione nel nostro Paese è un po’ come il baseball: non interessa a nessuno”. Illustratore per caso (“Mentre aspettavo un treno, prima della maturità artistica, ho incontrato una vecchietta che mi ha dato del materiale pubblicitario sull’Istituto europeo di design, non sapevo nemmeno cosa fosse”), Gottardo dopo il diploma allo Ied di Milano comincia a guardarsi intorno. Ma il panorama è desolante: “Era impossibile mantenersi lavorando solo con clienti italiani che non garantivano continuità, pagavano in ritardo e non conoscevano il linguaggio dell’illustrazione. Così, dopo aver passato un anno a trasformare in digitale il mio lavoro su carta, mi sono creato un portfolio e grazie a Internet sono stato preso da un’agenzia canadese dal 2002 al 2005”. Fino alla svolta. (...) Gottardo decide di “mettersi in proprio” e di elaborare uno stile grafico personale e riconoscibile, indispensabile per affermarsi. “Ho lasciato perdere il bel disegno e sono partito invece dall’idea. Nelle mie illustrazioni quello che conta è il concetto, la metafora; tutto il resto viene dopo. Cerco di arrivare a una sintesi, lavoro per sottrazione, ‘togliendo’ tutto quello c’è in più graficamente. È come se aggiungessi alla mia idea solo un velo di fard. Così ho trovato la mia vera identità. Esemplificata dallo pseudonimo Shout, quasi un grido liberatorio. Come dire: adesso faccio quello che voglio io”. Il passo successivo è stato cercare su Google gli indirizzi email di potenziali clienti. “In sei mesi ho spedito circa 2000 email. Ho capito che ce l’avevo fatta quando mi hanno risposto contemporaneamente gli art director del New York Times, del New York Times Magazine e del Progressive Magazine”. Da lì in poi Gottardo si è inserito a pieno diritto tra gli illustratori da lui considerati suoi maestri: “Ho sempre ammirato Lorenzo Mattotti, Guido Scarabottolo, Beppe Giacobbe. Tra gli stranieri gli americani Brad Holland, il padre dell’illustrazione contemporanea, e Mark Ulriksen, forse l’unico che riesce a disegnare una copertina al mese per il New Yorker”. Ma oggi i più gettonati sono nati fuori dagli Usa: “Gary Taxali è indiano, Edel Rodriguez cubano e Yuko Shimizu giapponese, anche se hanno preso la residenza in Canada e America”. Un mondo, quello degli illustratori, aperto a condivisioni e scambi se oggi esiste addirittura un blog (...) Gottardo è stato contattato da David Benioff, autore de La venticinquesima ora, per illustrare la copertina del suo nuovo romanzo La città dei ladri. “Creo copertine non descrittive”, spiega, “ma che favoriscono una suggestione. Prediligo le immagini ambigue in cui ognuno può vedere quello che vuole. E dopo aver superato l’horror vacui tendo a inserire le figure umane all’interno di spazi ampi. Mi piace comunicare per sensazioni”. Diverso l’approccio con le campagne pubblicitarie. “I budget sono più alti e le agenzie vogliono mantenere un controllo sull’illustrazione. Spesso mi spediscono uno schizzo del disegno. Così mi viene richiesto di vestire col mio linguaggio un’idea già esistente”. Sarà forse per deformazione professionale che Gottardo non si considera un artista bensì un artigiano. “L’illustrazione di per sé non è una forma d’arte. Quando accetto un lavoro creo un prodotto ad hoc commissionato da terzi, non un capolavoro. E devo relazionarmi alle esigenze del cliente. Solo a posteriori, come accade spesso nel caso di Mattotti, un’illustrazione supera il confine e diventa artistica. Ai giovani che mi chiedono consigli dico sempre che sarebbe frustrante per un illustratore voler esprimere a tutti i costi se stesso attraverso la propria creazione. Ma dico anche che qualsiasi giovane con talento, passione e spirito di sacrificio può fare il mio lavoro. Perché il linguaggio visivo è immediato, non ha bisogno di traduzione. E grazie a Internet i confini non esistono più”» (Benedetta Marietti) [Rep 18/8/2009].