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 2013  aprile 10 Mercoledì calendario

Sette, venerdì 8/3/2013Omicidio Petrosino Joe, di anni 49, poliziotto di New York in missione a Palermo per sgominare la Mano Nera, la mafia americana, la sera del 12 marzo 1909 aveva lasciato il suo alloggio all’hotel de France per andare a cenare al caffè Oreto, qui ordinò pasta al pomodoro, pesce arrosto, patate fritte, formaggio col pepe, frutta e mezzo litro di vino, poi, dopo aver ricevuto al tavolo due uomini con cui si intrattenne pochi istanti, pagò il conto di 2 lire e 70 centesimi, tre con la mancia, e uscì

Sette, venerdì 8/3/2013
Omicidio Petrosino Joe, di anni 49, poliziotto di New York in missione a Palermo per sgominare la Mano Nera, la mafia americana, la sera del 12 marzo 1909 aveva lasciato il suo alloggio all’hotel de France per andare a cenare al caffè Oreto, qui ordinò pasta al pomodoro, pesce arrosto, patate fritte, formaggio col pepe, frutta e mezzo litro di vino, poi, dopo aver ricevuto al tavolo due uomini con cui si intrattenne pochi istanti, pagò il conto di 2 lire e 70 centesimi, tre con la mancia, e uscì. Il tenente andò dritto, costeggiando il giardino Garibaldi, e dopo aver percorso 207 metri venne colpito da tre proiettili, uno alla spalla, uno alla gola e una alla guancia destra, mentre un quarto finì nella stoffa della giacca. Tra le 20.45 e le 20.50 del 12 marzo 1909 in piazza della Marina, a Palermo.

Origini
Petrosino Joe, nato a Padula, provincia di Salerno, il 30 agosto 1860, figlio di Prospero Petrosino, che nel 1873, stremato dalla povertà e dalla fame, aveva preso su le sue creature (quattro maschi e due femmine), la moglie e una valigia ed era sbarcato a New York. A 13 anni Joe si era messo a fare lo strillone per le strade di Little Italy, poi il lustrascarpe. Arruolato in polizia a 23 anni, diventò sergente e poi tenente, primo italiano ad entrare nel Bureau, l’ufficio cui facevano capo i cinque più abili investigatori di New York. Fu inviato in missione segreta in Sicilia, la sua trasferta fu però annunciata sui giornali americani. Sposato, al momento della morte aveva una figlia di tre mesi.

Svelto «È rozzo e sembra piuttosto tardo di comprendonio. Il suo volto è inespressivo e potrebbe attraversare la folla senza attrarre l’attenzione dei passanti. Ma proprio qui sta la forza del detective. Egli è padrone dell’arte di assumere un’aria di sbigottita semplicità. Ma più di un ladro e di un assassino hanno scoperto a proprie spese quanto sia rapida la sua mente e svelto il suo braccio» (un giornalista americano a proposito di Petrosino)

Bravu «Brooklyn, 16 marzo 1909. Signuri Questuri, mi dispiaci la morti di Petrosino perché era troppo bravu e perciò vi fazzo sapiri che un certo Paolo Orlannu era troppo nemicu di Petrosino perché è lu capo della mafia di Brooklyn mentre prima era lu capu della mafia di Tunisi. Lui fici ammazzari issu da due Partinicoti che spariru da Brooklyn perché ficiru bancarutta e si portarono via tanti dinari. Petrosino li cercava. Putiti scriviri a Brooklyn per li due Partinicoti che si chiamano A. Passananti e l’atru Carlo Costantino, Savannah 593, Husking a.v. Un siciliano onorato» (lettera al questore Ceola).

Assassini «Gli assassini di Petrosino non saranno mai assicurati alla giustizia. È bene che la popolazione di New York si rassegni a questo fatto. Ne è minimamente probabile che qualcuno dei più importanti documenti in suo possesso al momento della sua morte arrivino mai a Mulberry Street. Infatti essi sono stati presi dalla polizia di Palermo; la quale, si può ritenere con sicurezza, ha fatto e farà quanto è in suo potere per proteggere non soltanto gli assassini del detective, ma tutti quegli italiani d’America i cui precedenti penali erano proprio l’oggetto della sua investigazione» (il giornalista White sul numero domenicale di Ledger del 21 marzo 1909).

Regno Per l’omicidio di Petrosino furono arrestati e poi prosciolti Costantino, Passananti e don Vito Cascio Ferro (mandante). Il prefetto che aveva seguito le indagini, Baldassare Ceola, fu esonerato quattro mesi dopo l’omicidio e collocato a riposo col titolo onorario di prefetto del regno.

Ferro Don Vito Cascio Ferro, capo della Mano Nera, costretto a tornare in Italia perché ricercato da Joe Petrosino, si portava sempre dietro una foto del poliziotto. Anni dopo, condannato all’ergastolo per altri delitti, confessò: «In tutta la mia vita ho ucciso solo una persona e feci questo disinteressatamente. Petrosino era un avversario coraggioso, non meritava una morte infame sotto i colpi di un sicario qualunque». Don Vito morì poi nel 1942 di fame e sete perché dimenticato nel penitenziario sgomberato a causa dei bombardamenti.

Lucrezia Dell’Arti