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 2013  gennaio 11 Venerdì calendario

L’esecuzione di Galeazzo Ciano

Esecuzione Galeazzo Ciano, di anni 41, gerarca fascista e genero di Benito Mussolini, detenuto nel carcere degli Scalzi a Verona, processato e condannato a morte per tradimento, fu portato assieme ad altri quattro fascisti sul luogo dell’esecuzione, cinque sedie addossate al terrapieno della fortezza sul quale si scorgeva ancora un po’ di neve, portò le mani in tasca, poi alzò la gamba e si mise a cavalcioni sulla sedia, rifiutò la benda «Ah questa no!», fissò il plotone d’esecuzione, e quando questi spararono riuscì a restare ancora vivo, muoveva le labbra, così il comandante, Nino Furlotti, si trovò costretto ad esplodergli due colpi di pistola alla tempia destra. Alle 9.20 di martedì 11 gennaio 1944, Fortezza di San Procolo (Verona).

Altri Gli altri condannati: Emilio De Bono, che rifiutò di farsi legare le mani dietro la schiena, Giovanni Marinelli, a piangere desolatamente, Luciano Gottardi e Carlo Pareschi.

Plotone Il plotone d’esecuzione: 30 militi fascisti e tre ufficiali delle SS.

Processo Il processo, iniziato l’8 gennaio nella sala da concerto degli Amici della Musica del Castelvecchio di Verona, per l’occasione addobbata in stile fascista, pubblico e giudici con la camicia nera, è durato tre giorni. Capo d’accusa: «tradimento e aiuto al nemico...». A Ciano e gli altri si contesta di aver votato, il 25 luglio 1943, la mozione che ha esautorato Mussolini restituendo il comando delle forze armate a re Vittorio Emanuele. Il Duce, arrestato il giorno dopo, è stato intanto liberato dai paracadutisti tedeschi il 12 settembre 1943 e ha fondato la Repubblica di Salò.

Traditori Mussolini, condotto in Germania il 18 settembre, annuncia a Radio Monaco la nascita della RSI e promette «di eliminare i traditori; in particolar modo quelli che sino alle ore 21.30 del 25 luglio militavano, talora da parecchi anni, nel Partito e sono passati nelle file del nemico».

Piedi «Che mi fucilino subito, così su due piedi, senza ascoltare neanche la mia voce, ma che non mi chiamino traditore» (Ciano prima del processo).

Scalzi Il carcere, un vecchio convento dei Carmelitani Scalzi, trasformato in prigione nel 1943, diretto da Sergio Olas, sardo. Ciano è la matricola numero 11902, viene imprigionato nella cella 27, un letto, una panca, un tavolino, niente per scaldarsi, ha un medico personale, Arrigo Bottili, dermatologo, perché il prefetto vuole portarlo in perfetta salute davanti al plotone d’esecuzione.

Ballerino Secondo Hitler Galeazzo Ciano era «un ballerino da caffé viennese».

Verbale «Sono e mi chiamo: Galeazzo Ciano fu Costanzo e di Carolina Pirri, nato a Livorno il 18-3-1903, domiciliato a Roma in via Angelo Secchi n. 9, dottore in legge, funzionario di carriera presso il Ministero degli Esteri, coniugato con 3 figli, istruzione superiore all’elementare (laurea in giurisprudenza), tenente colonnello pilota di completamento, ex combattente, decorato di tre medaglie d’argento al valore militare, una promozione per merito di guerra; razza ariana, religione cattolica, proprietario di beni immobili: negativo nel resto; già ministro Stampa e Propaganda e già ministro degli Esteri e ambasciatore presso la Santa Sede. … Respingo sdegnosamente le accuse che mi smuovono di tradimento del Duce, della causa e della patria. … Intendo ad ogni modo dichiarare che io posso avere compiuto un errore e che anzi i fatti successivi hanno dimostrato essere stato un errore, ma non si parli di tradimento, parola che è in stridente contrasto con tutta la mia attività di soldato, di uomo politico e principalmente di 22 anni di fascismo» (dal verbale dell’interrogatorio di Ciano da parte del giudice istruttore).

Edda Edda Mussolini, figlia del Duce e moglie di Ciano, cercò di salvarlo in tutti i modi minacciando di diffondere i diari del marito.

Spia Hildegard Burkhardt, 22 anni, spia tedesca, alias Felizitas Beetz, messa affianco di Ciano durante la sua prigionia, finì per affezionarsi a lui e cercò di salvargli la vita.

Resti I resti di Ciano, recuperati da Guglielmo Adami, panettiere antifascista, il giorno dopo l’esecuzione, e conservati in una nicchia dietro una madonnina nel suo negozio di alimentari per 60 anni.