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 2012  dicembre 04 Martedì calendario

Ieri lo spread è sceso sotto i 300 punti, un evento che non capitava da prima dell’estate: 292 punti, per poi risalire in chiusura a 304

Ieri lo spread è sceso sotto i 300 punti, un evento che non capitava da prima dell’estate: 292 punti, per poi risalire in chiusura a 304. Si tratta in ogni caso di una flessione, rispetto al giorno precedente, di 11 punti, il che significa un risparmio di cento miliardi, se si prende come riferimento l’interesse del 7,5 per cento che dovevamo pagare un anno fa. Se il livello rimarrà questo, o magari se si abbasserà ancora, in due o tre mesi l’effetto di un tasso più contenuto influenzerà anche i nostri mutui o i nostri leasing. Il presidente del Consiglio Mario Monti s’è naturalmente detto soddisfatto di questo risultato, aggiungendo però: «Desidero confessare che per me c’è un livello di spread che è 287 punti base. Questo livello rappresenta, e spero sia presto toccato, un punto di particolare significato. Sarebbe esattamente la metà dei 574 con i quali il nostro percorso è iniziato». Stabili o in leggero rialzo anche le Borse (Milano +0,5), forte l’euro, scambiato anche a 1,3046 dollari (in chiusura 1,3030).

• Ricordiamo che lo spread è il differenziale tra i titoli a dieci anni italiani e gli analoghi titoli tedeschi. Siamo felici quando il valore di questo indice è basso, e saremmo felicissimi se raggiungesse lo zero o addirittura diventasse negativo. È pari a zero lo spread tra i titoli pubblici americani (“treasuries”) e quelli tedeschi. Ieri la Germania ha piazzato Bund per 2,587 miliardi di euro e s’è trovata a fronteggiare una domanda pari a due volte e mezzo l’offerta. Piuttosto eccezionale, perché i titoli garantivano agli acquirenti una perdita! Il tasso infatti era negativo (-0,017%), addirittura più negativo dell’asta precedente (-0,012%).  

• Che senso ha comprare titoli che ci fanno perdere?
A tenere i soldi da un’altra parte si potrebbe perdere di più. I mercati pensano che l’investimento nel debito tedesco dia garanzie assolute, sia cioè praticamente senza rischio.  

Perché sono a un tratto tutti quanti ottimisti?
Non esageriamo. Stiamo raccontando la giornata di ieri, nella quale si sono accumulate una serie di notizie positive. Non creda che la crisi sia finita e che siamo fuori dai guai. Altri indici mostrano che la fiducia dei consumatori e delle imprese è bassa, le analisi delle agenzie sul 2013 mostrano al massimo un andamento mediamente piatto. Un anno cioè in cui, se va bene, non perderemo e non guadagneremo.  

Non ci guasti la festa. Ci dica perché ieri gli operatori erano tutti contenti.
Ci sono buoni dati dalla Cina, dove il settore delle manifatture ha per la prima volta dopo dodici mesi segnato una ripresa. C’è un indicatore, per la manifattura, che deve attestarsi almeno sopra 50. Cioè, se sta sopra 50 le cose stanno andando bene, se sta sotto male. Per novembre la Cina sta a 50,6, un minimo che è bastato ai mercati per far festa (a ottobre era a 50,2). Il problema con Pechino è capire se continuerà ad essere compratore all’estero oppure no. Per crescere abbiamo bisogno di domanda e la maggiore domanda, a livello globale, non può che venire dai paesi giovani e in via di sviluppo. Buonissimo anche il dato indiano, 53,7. L’Europa sta in genere sotto il 50, ma il 46,2 di novembre è comunque il numero più alto da marzo. L’Italia ha segnato 45,1, arretrando dal 45,5 di ottobre. Sta sotto il 50 anche la Germania, con 46,8, comunque in risalita rispetto al 46 di ottobre. Oltre alla Cina, c’è la sensazione che negli Stati Uniti i rapporti tra democratici e repubblicani vadano migliorando. Questa è una premessa incoraggiante per la faccenda del fiscal cliff, cioè il taglio automatico di agevolazioni fiscali e l’aumento ugualmente automatico delle tasse se non si troverà un accordo sul debito pubblico prima della fine dell’anno (15 mila miliardi di dollari). Vale qui lo stesso discorso fatto per la Cina: un’America in recessione cesserebbe di fare acquisti nei negozi europei.  

Il caso greco è stato risolto? Sapevo che volevano altri tagli al loro debito.
Giusto una settimana fa, l’Eurogruppo ha raggiunto l’ennesimo accordo per aiutare la Grecia. Atene promette di riportare il debito al 124% del Pil nel 2020 e al 110% nel 2022. Come prima mossa è impegnata a riacquistare le proprie obbligazioni in mano ai privati, in modo da tagliare subito una parte della propria esposizione. Se questa operazione andrà in porto (le banche greche sono molto riluttanti) il 13 dicembre Fmi-Ue e Bce verseranno nelle casse elleniche 44 miliardi. I greci hanno anche ottenuto tutta una serie di sconti sugli interessi e sui costi delle garanzie, rinvio di 15 anni sulle scadenze dei debiti con l’Efsf, eccetera. Anche questo ha contribuito all’ottimismo di ieri. Se la Grecia non salta, e sia pure a spese degli stati alleatu, cioè dei contribuenti (cioè nostre), si può forse ancora puntare sull’Europa.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 4 dicembre 2012]