3 giugno 2012
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Biografia di Michele Zagaria
• San Cipriano d’Aversa (Caserta) 21 maggio 1958. Camorrista. Boss del clan omonimo di Casapesenna, reggente, insieme ad Antonio Iovine, della confederazione dei casalesi (prende il nome da Casal di Principe), che riunisce in sé in rapporto di autonomia federativa tutte le famiglie camorristiche del casertano, e ha al suo vertice Francesco Schiavone e Francesco Bidognetti (detenuti). Latitante per sedici anni (dal 5 dicembre 1995, quando veniva colpito da ordinanza cautelare nel corso dell’operazione “Spartacus”), è stato arrestato il 7 dicembre 2011. Tra i primi dieci latitanti di massima pericolosità ricercati dalla Direzione centrale della polizia criminale, dopo l’arresto di Bernardo Provenzano era salito in cima alla lista. Condannato a più ergastoli per omicidio e associazione mafiosa.
• Alias Capastorta, per l’irregolarità del viso (ma pare che gli piacesse farsi chiamare Manera).
• Mentre a Mondragone il clan alleato La Torre fondava il Gad (gruppo antidroga, una banda paramilitare che pestava i tossici e gli spacciatori), e il fratello Pasquale puniva i ragazzi del clan sorpresi a tirare di coca chiudendoli in gabbia con i porci, Michele cedeva al vizio. Al suo affiliato che gli chiedeva: «Mi devi togliere uno sfizio … ma tu lo hai mai fatto?», rispondeva: «Con me devi fare come con il prete, fa quello che dico, ma non fare quello che faccio». Non si è mai sposato, avrebbe una figlia, ma non l’ha riconosciuta.
• «Michele Zagaria fino al 1992-93 faceva il killer. Lo arrestano armato di tutto. Finisce dentro nel 91 e viene scarcerato nel 93, poi diventa latitante» (Rosaria Capacchione, cronista del Mattino minacciata più volte dal clan dei casalesi). Promosso da killer a capo operativo (in seguito alla carcerazione di Francesco Schiavone e Francesco Bidognetti), si lancia nell’imprenditoria, facendo investimenti a catena, soprattutto nel cemento, coi proventi delle tangenti, attraverso prestanomi. A cominciare dalla Sud Edil, intestata al cugino Antonio Fontana, che si è infiltrata nei lavori della Tav nel tratto Roma-Napoli (sentenza “Spartacus”). Passando per i colletti bianchi, come Aldo Bazzini, costruttore a Parma, suocero del fratello Pasquale (ordinanza cautelare del 22 giugno 2006, per un sequestro di beni per 50 milioni). I proventi delle tangenti venivano riciclati attraverso società immobiliari in Emilia Romagna, Lombardia e Toscana (secondo le intercettazioni telefoniche i corrieri facevano Casapesenna-Parma a bordo di automobili cariche di soldi). Per arrivare all’inserimento nei pubblici appalti. La sua longa manus era Immacolata Capone (finché non fu uccisa, il 17 marzo del 2004, a Sant’Antimo: vedi Anna Mazza). Comprava i certificati antimafia per poi aggiudicarsi cospicui appalti, i lavori di ampliamento e ammodernamento della ferrovia Alifana e la realizzazione del centro Radio della Nato di Giugliano, fra tutti (col colonnello dell’Aeronautica militare, Cesare Fiancano, se la cavò con uno scooter e due forniture di gomme, per evitare controlli). Alle imprese subappaltatrici imponeva le ditte da cui rifornirsi per materiali e servizi (le opere naturalmente erano eseguite a risparmio, in difformità dai capitolati d’appalto). Detto per questo anche “il re del cemento”.
• La Capone era in affari con Capastorta da anni, ma non lo aveva mai visto. Finché, prese tutte le precauzioni perché non riconoscesse i luoghi, fu trasportata in auto in una villa, e giunti a destinazione Michele Zagaria in persona uscì dal cofano. Secondo le informative il boss prese posto al centro del salone lastricato di marmi rari, e carezzando una tigre al guinzaglio si mise a parlare di affari.
• «Zagaria viene considerato il comandante in capo dei casalesi, il viceré con delega alle grandi opere» (Domenico Del Piano).
• Il pm Raffaele Cantone, titolare dell’accusa a Santa Maria Capua Vetere (e secondo le indagini vittima designata di un attentato al tritolo, tanto che la scorta gli fu raddoppiata): «Ci troviamo di fronte a boss che agiscono, pensano, e si relazionano come imprenditori. E sono imprenditori. Dire che esiste il clan Zagaria e che comandi su tutto il territorio è come dire che si respira aria».
• «Sono così ricchi che agiscono investendo capitali nelle imprese legali, senza pretendere il controllo della gestione. Hanno inventato le società a pcm ossia a partecipazione di capitale mafioso, che sono ormai parte rilevante dell’economia nazionale. Ma trovano mercato anche all’estero. Perché la loro strategia è vincente: i boss guadagnano facendo risparmiare le imprese. Sono più morbidi delle banche: chiedono interessi inferiori, non fanno fretta per recuperare l’investimento. Hanno una ricchezza talmente vasta che li esonera dalle intimidazioni e dallo strozzinaggio. Il processo Zagaria sulle infiltrazioni nelle ditte di Parma e della pianura padana dimostra come gli imprenditori del Nord fossero felici di avere i capitali della camorra» (il procuratore aggiunto Franco Roberti).
• Arrestato il 7 dicembre 2011, si nascondeva nel bunker sotterraneo scavato sotto una villa di Capasenna, il paese degli Zagaria, da dove non si era mai allontanato. I poliziotti tolsero l’elettricità e lui rimase al buio, mentre gli escavatori procedevano a scavare, tanto che dovette urlare per paura di che sfondassero il pavimento sopra di lui. Secondo altre ricostruzioni, invece, la botola del nascondiglio era difettosa. Chi scrive che ebbe un malore subito dopo, chi scrive che, uscito dalla botola, per prima cosa chiese di fare una doccia. Pare che stesse leggendo la biografia di Steve Jobs. La cronaca dell’arresto e delle indagini mirate a trovarlo, nel libro scritto dal magistrato Catello Maresca e dal giornalista Francesco Neri: L’ultimo bunker. La vera storia della cattura di Michele Zagaria, il più potente e più feroce boss dei Casalesi.
• Rimase un giallo la scoperta che il boss, una volta trasferito nel carcere di Novara, dopo l’arresto, il passaggio in Questura e la notte passata nel carcere di Secondigliano, avesse con sé 1200 euro.
• Durante la latitanza, secondo alcune informative, incontrava i suoi fedelissimi in chiesa, nel segreto del confessionale.
• Il boss pentito Antonio Iovine (vedi), ha dichiarato di avere avuto a che dire con lui, quando si rifiutò di pagare un giudice che l’aveva assolto grazie all’intermediazione dell’avvocato Santonastaso. Sempre a suo dire Francesco Schiavone (vedi), era arrivato a proporre di ucciderlo (dichiarazioni rese nel corso del processo per le minacce ai giornalisti Rosaria Capacchione e Roberto Saviano). (a cura di Paola Bellone).