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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Calisto Tanzi

• Collecchio (Parma) 17 novembre 1938. Industriale. Ha portato la Parmalat al più grave crac finanziario europeo di tutti i tempi. «Mai ho saputo che i nostri bond fossero venduti a man bassa ai risparmiatori».
• La storia comincia in via Oreste Grassi, a Parma, in un palazzo vicino alla stazione da cui entravano e uscivano i prosciutti di Langhirano. Era l’aziendina commerciale fondata dal nonno Calisto, lasciata al padre Melchiorre. «Calisto junior entra in affari a 21 anni. Il padre è malato e lui, già ragioniere, deve lasciare l’università. In breve tutto cambia: nel 1961 costituisce la Dietalat, poi trasformata in Parmalat. La svolta ha luogo in un negozio a Stoccolma. Lì vede il latte in pacchetto, un contenitore di carta fabbricato dalla Tetrapak. Saranno questa tecnologia e l’Uht (che consente la lunga conservazione) a fare la fortuna industriale di Tanzi, che estenderà le idee a conserve e succhi. L’imprenditore di Collecchio coglie però che l’anima del successo è nel commercio: marchio e distribuzione. Investe in reti di vendita, marketing, pubblicità. Patron del Parma Calcio, si butta nelle sponsorizzazioni sportive, sostiene campioni di sci (Gustavo Thoeni e Ingemar Stenmark), piloti (Niki Lauda e Nelson Piquet), squadre anche di pallavolo. Fin qui una storia di abilità imprenditoriale. Sostenuta però da un vizio d’origine, i debiti, e da un’attenta consuetudine con il mondo della politica. Democristiano da sempre, Calisto coltiva l’amicizia con Ciriaco De Mita. Gli dichiara la stima, gli presta l’elicottero, apre una fabbrica nel suo paese natale (Nusco), diventa sponsor dell’Avellino calcio. Convinto da De Mita compra una tv, la Odeon che vuole trasformare in “Telebontà”» (Sergio Bocconi). «Una scalata da vertigini, a un ritmo del 50 percento l’anno con punte del 74 percento. Andava fiero, il Gran Lattaio, che a Parma tutti chiamavano rispettosamente Il Cavaliere prima che l’ossequioso epiteto gli fosse sfilato da Berlusconi, dei grafici dei suoi bilanci: da 262 milioni a 14 mila miliardi e su su su! E snocciolava le fabbriche che aveva aperto in Russia e in Cile, in Australia» (Gian Antonio Stella).
• A forza di crescere, spendere, indebitarsi e non capitalizzare mai l’azienda con soldi freschi (cioè soldi suoi), alla fine del 1989 la Parmalat, secondo quanto accertarono i giudici nelle loro indagini del 2004, era già tecnicamente fallita. In quel momento il buco principale era costituito proprio da Odeon Tv, che gli aveva succhiato 80 milioni di euro in pochi anni. Tanzi pompava inoltre soldi dalla Parmalat alla società di famiglia (la Sata: un calcolo sul periodo 1997-2003 mostra un drenaggio di 173 milioni), comprava aziende all’estero indebitandosi (6,805 miliardi di euro a fine 2003), distribuiva dividendi ricchissimi (16 milioni l’anno: tra i percettori di dividendi c’erano prima di tutto lui e i suoi) e infine – poiché faceva tutto a debito – si caricava degli interessi sugli interessi, un micidiale moltiplicatore del buco. Marco Vitale ha raccontato che già nel 1989-1990 «in una delle principali merchant bank si riteneva che la società fosse opaca, la natura dei nuovi capitali entrati ambigua».
• Tanzi si salvò chiedendo in prestito 120 miliardi alla Centrofinanziaria, la merchant bank del Monte dei Paschi di Siena. Gli furono concessi a due condizioni: che vendesse Odeon e che restituisse i soldi in tre anni. In caso contrario avrebbe pagato cedendo alla banca il 22 per cento dell’azienda (già pronto l’acquirente: la Kraft). Odeon fu ceduta a Florio Fiorini, il prestito arrivò, ma non fu sufficiente.
• Ci si decise allora a portare l’azienda in Borsa. Avendo pessima fama (si sapeva che non pagava i fornitori), Tanzi si rivolse al finanziere Gianmario Roveraro, ex campione di salto in alto, membro influente dell’Opus Dei (morì ammazzato nel 2006, vedi Filippo Botteri) che gli suggerì di quotare Parmalat acquisendo una società già quotata e offrì per questo la Finanziaria Centronord (Fcn) di Giuseppe Gennari, «più o meno una società di strozzo» (Carlo Bonini – Giuseppe D’Avanzo).
• Nel frattempo, ai soliti costi, s’aggiunsero l’impegno per la squadra di calcio (alla fine del 2003 avrà assorbito 500 milioni) e quelli di Parmatour (altri 500 milioni). Tanzi aveva bisogno di soldi già nel 1992, due anni dopo la quotazione. Glieli fece avere ancora una volta Roveraro: si trattò di sottoscrivere un aumento di capitale di 430 miliardi di lire, al quale per metà avrebbe dovuto fare onore la famiglia Tanzi. I 215 miliardi arrivarono. Roveraro: «Allora Tanzi mi disse che aveva attinto al patrimonio della moglie e io gli credetti anche se cominciai ad avere dei dubbi quando, subito dopo, chiese a me, all’avvocato Sergio Erede e a Renato Picco (Eridania-Ferruzzi) di lasciare libero il posto nel consiglio d’amministrazione che da quel momento è stato sempre composto da familiari di Tanzi o da dipendenti della Parmalat». È da quel momento infatti che cominciarono le falsificazioni dei bilanci.
• Parmalat tirò avanti fino al 2003 grazie alla sua natura di “azienda marcia”: quando una banca doveva avere soldi da un imprenditore incapace di pagare, si rivolgeva a Tanzi imponendogli di comprarne l’azienda con soldi che essa stessa gli avrebbe fornito attraverso l’emissione di un bond da piazzare sul mercato. L’imprenditore, con i soldi pagati da Tanzi, saldava la banca che oltre a uscire dalle sofferenze lucrava le ricchissime commissioni legate all’operazione. Il debito passava a Parmalat e, attraverso i bond, al pubblico. Questo schema starebbe ad esempio dietro l’operazione Ciappazzi, la società di acque minerali di Ciarrapico che ha messo nei guai Cesare Geronzi.
• Il sistema che strangolò Parmalat era però solo per il 30 per cento italiano. Le banche strozzine erano soprattutto americane: «Nel 1993, Tanzi ha bisogno di crescere e bussa all’unica porta che conta davvero sui mercati internazionali. Quella di Chase Manhattan (oggi Jp Morgan-Chase) (...) Collecchio partecipa alla stagione in cui tutti i grandi gruppi italiani scoprono il nuovo mercato dei bond e ne ottiene risultati lusinghieri (spesso la domanda di bond Parmalat è doppia rispetto all’offerta). Tra il 1994 e il 1996 Tanzi avvia un napoleonico piano di acquisizioni estere. In tre anni, Collecchio diventa il centro di un interesse finanziario che rende il gruppo cliente conteso dai colossi del credito americano ed europeo (...) Tra il 1996 e il 1997 – spiega un banchiere italiano – Parmalat è un boccone che fa gola a tutti. Anche se i suoi numeri già cominciano a dare dei segnali di sbilanciamento. Alla fine del 1996, l’indebitamento lordo del gruppo (vale a dire la somma delle sue esposizioni verso le banche e dell’ammontare di bond che circolano sul mercato) ha superato i 2.500 miliardi di lire (circa 1 miliardo e 200 mila euro) e per sostenere la liquidità è stato necessario un aumento di capitale di 370 miliardi di lire, che Calisto – non deve sorprendere, ormai lo sappiamo – sottoscrive, per la sua quota, con soldi che non ha e che questa volta ottiene con un prestito concesso dall’Ubs. Di più: il gruppo fatica a penetrare sui nuovi mercati americani e in Italia vede addirittura ridotta la sua quota di mercato» (Bonini – D’Avanzo). Ma non c’è nessun ravvedimento. Anzi, mentre Chase Manhattan comincia a raffreddare i rapporti, entra in scena la più aggressiva Citibank: il suo arrivo a Collecchio dà una nuova accelerazione alle acquisizioni, all’emissione di bond. Dopo un lungo incrociarsi di voci sui problemi dell’azienda, che cominciò nella primavera del 2003, l’annuncio ufficiale del crack arrivò il 17 dicembre di quell’anno: non potendo onorare un bond da 150 milioni, Tanzi cercò di tranquillizzare tutti mostrando, tra l’altro, l’estratto conto della sua Bonlat presso la Bank of America da cui risultava una liquidità di 3,95 miliardi di euro; ma il 17 dicembre la Bank of America comunicò che a New York non esisteva nessun conto Bonlat. Si scoprì così che Tanzi e il suo direttore generale Fausto Tonna avevano costruito, con uno scanner, un estratto conto completamente falso. In quel momento la Parmalat era presente in 30 paesi, con più di 500 società (nessuna delle quali in utile), oltre 35 mila dipendenti, ricavi di poco inferiori agli 8 miliardi di euro.
• Le persone o le società che, in tutto il mondo, avevano nel cassetto un bond Parmalat erano centomila. Il crack fu di 14 miliardi di euro. Tanzi fu arrestato a Milano il 27 dicembre 2003, dieci giorni dopo arrivò il comunicato della Bank of America.
• La Parmalat è stata salvata dall’opera paziente e implacabile del commissario Enrico Bondi, chiamato dallo stesso Tanzi e supportato poi da un’apposita legge varata a tutta velocità da Antonio Marzano, ministro delle Attività produttive nel Berlusconi II. Bondi ha tra l’altro chiesto 10 miliardi di danni alla Bank of America. L’azienda è stata rimessa in piedi, e il 6 ottobre 2005 è tornata in Borsa. Nel 2011 è passata ai francesi di Lactalis.
• «Le banche hanno una forte responsabilità nel default. Enrico Bondi, il grande manager che prese in mano l’azienda in quel momento, ha recuperato da una trentina di banche sparse in tutto il mondo due miliardi e 160 milioni. I risparmiatori hanno recuperato quasi il 70 per cento del loro investimento. (…) Quando si trovò davanti ai giudici come “testimone esperto”, Bondi spiegò: “I nostri revisori hanno ricostruito in 24 ore tutto quello che le grandi banche e le autorità di controllo non avevano capito nei 14 anni precedenti”. Voleva dire, naturalmente, tutto ciò che “avevano fatto finta di non capire”. Parmalat era già tecnicamente fallita alla fine degli anni Ottanta e fu adoperata dalle banche come discarica di aziende decotte. Il sistema era questo: il signor X, proprietario dell’azienda A, deve dare alla Banca 50 miliardi di lire e non li ha. La Banca va allora da Tanzi – in pratica un suo schiavo – e gli dice: “Comprati questa azienda A per 50 miliardi, così il signor X potrà restituirci i soldi”. Tanzi: “E dove li prendo 50 miliardi?”. Banca: “Ti diamo noi 70 miliardi, attraverso un bond che emetterai come Parmalat. Ti restano in tasca pure 20 miliardi”. La Banca rientrava dei soldi e quando arrivava l’obbligazione Parmalat la rifilava ai clienti. Inoltre lucrava alla grande sulle commissioni. Bondi ha mostrato che alla fine le banche hanno preso da Parmalat più soldi di quelli che hanno dato» (Giorgio Dell’Arti) [Gds 10/12/2010].
• L’inchiesta ha dato luogo a due maxi processi che si svolgono a Milano, dove vengono giudicati i reati di Borsa, e a Parma (tutto il resto). Il primo è cominciato il 28 settembre 2005, il secondo, nella sua fase preliminare, il 6 giugno 2006. Si sono costituiti in giudizio, rispettivamente, 40 mila e 33 mila risparmiatori.
• «Tanzi e soci tirate fuori i nostri sudati risparmi» (cartello al Tribunale di Milano il 28 settembre 2005). «La sua azienda si poteva salvare? “Va ancora avanti”, dice Calisto. Una parola ai truffati? Ironico: “Continuino a consumare i prodotti Parmalat”. L’imbroglio dei Bond? “La Parmalat non c’entra”» (al termine dell’udienza del 6 giugno 2006 a Parma).
• A Parma arrivarono 250 richieste di accredito da testate straniere e c’erano 6 milioni di pagine da studiare: il più grande processo della storia giudiziaria italiana. Il 14 marzo 2008 iniziò il dibattimento.
• Tanzi, tornato libero il 27 settembre 2004 dopo 275 giorni trascorsi tra prigionia e arresti domiciliari, dice ad ogni occasione che prega Dio, che la colpa è tutta delle banche e che per favore lo si perdoni. «Vive sempre nella villa di famiglia, tra Parma e Collecchio, che le parti civili confermano di “non poter pignorare”. Tirando le somme, Tanzi ha risarcito circa due millesimi del buco nero di Parmalat. Continua a vivere in un grande rustico ristrutturato con un vasto giardino. E, a differenza dei risparmiatori, non ha problemi economici: sua moglie, Anita Chiesi, è contitolare di una grossa industria farmaceutica» (Paolo Biondani).
L’iter giudiziario Nel processo per aggiotaggio, il 18 dicembre 2008 Tanzi è stato condannato in primo grado a 10 anni di reclusione; sentenza confermata in appello, il 26 maggio 2010. In Cassazione la condanna è stata ridotta a 8 anni e 1 mese di reclusione, il 4 maggio 2011. Tanzi è stato arrestato il giorno dopo e condotto nel carcere di Parma. Il 7 marzo 2013, molto dimagrito e malato, ha ottenuto gli arresti domiciliari da scontare nell’Ospedale Maggiore di Parma.
• Per bancarotta fraudolenta, il 9 dicembre 2010, è stato condannato in primo grado a 18 anni di reclusione; con lui condannate altre 14 persone. Il 23 aprile 2010, in appello, la pena è stata ridotta a 17 anni e 10 mesi; pena leggermente ridotta anche in Cassazione a 17 anni e 5 mesi, il 7 marzo 2014 (per l’avvenuta prescrizione, il primo settembre 2012, del reato di associazione a delinquere). Nel giorno della lettura della sentenza, è morto il fratello Gianni, anche lui imputato e condannato.
• Per il filone relativo al crac di Parmatour, nel luglio 2014 Tanzi è stato condannato in appello a 3 anni e 6 mesi.
• «Chi ha condiviso quei momenti col patron Calisto Tanzi lo ricorda in fondo come una persona semplice, che a chi lo chiamava dottore rispondeva “ho fatto fatica persino a diventare ragioniere”. Gli rimprovera soprattutto una cosa. Non l’aver defraudato i risparmiatori, non l’aver costruito un grattacielo sulla sabbia. Ma di non aver tenuto la schiena dritta di fronte al crollo. Di non aver avuto il coraggio di dire “processatemi, se c’è stata un’associazione a delinquere io sono il responsabile”. L’aver fatto finire in cella i figli e quei fedeli colletti bianchi che speravano davvero, una volta arrestato il padrone, fosse tutto finito. Invece, dal giorno del default a oggi, la difesa del patron è sempre stata quella di scaricare il barile sulle banche» (Maria Chiara Perri) [Rep 7/11/2013].
• «“Passo le giornate a guardare la tv – dice Tanzi – ma faccio fatica a leggere i giornali, non sono tanto lucido”. Pantaloni sportivi, scarpe da ginnastica, camicia scura e una felpa nera di un marchio low cost. Cammina da solo, lentamente. Non ha voglia di parlare, non può, è pur sempre agli arresti. Non ci sono i suoi avvocati che lo scortano né un piantone che lo sorveglia. Accenna un sorriso quando gli si parla del Parma Calcio ma se l’argomento è il crac si ritrae, toccandosi la fronte come a mimare un tormento che gli mangia il cervello. Meglio l’ospedale del carcere, comunque. “Qui mi vengono a trovare moglie e figli”» (Mario Gerevini) [Cds 17/10/2013].
• Tre figli: Francesca (Parma 5 giugno 1967), ex numero uno dei villaggi Parmatour per il cui crac nel 2007 ha patteggiato 6 anni e 5 mesi (almeno 120 i giorni trascorsi in carcere), si è trasferita in provincia di Padova dove è ripartita gestendo un albergo, il Blue Dream Hotel di Monselice; Stefano (23 luglio 1968) ha patteggiato almeno 7 anni tra un filone e l’altro del processo e lavora alle Ceramiche Ricchetti di Sant’Antonino di Casalgrande (Reggio Emilia). Sua moglie Maria Pilar Vettori, architetto, ha uno studio a Milano ben avviato; Laura (1975), che era rimasta completamente estranea allo scandalo, vive tra l’Italia e la Svizzera. Suo marito, Stefano Strini, prima del patatrac, aveva un’industria di componentistica che lavorava per la Parmalat. Dopo essere stato coinvolto nel ritrovamento dei quadri da un centinaio di milioni nella cantina di famiglia, si è reinventato kebabbaro nel quartiere storico della movida di Parma (il Fatto Quotidiano).