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 2012  giugno 01 Venerdì calendario

Biografia di Gianni Rivera

• Valle San Bartolomeo (Alessandria) 18 agosto 1943. Ex calciatore. Politico. Ex eurodeputato (Ulivo). «Gianni Rivera che corre sul campo con la faccia esultante e ridente, con le braccia tese vicine al corpo e i pugni chiusi: senza grida né sguaiataggini né gesti osceni. Un’immagine così perfetta di felicità, così composta, così piemontese, impossibile da dimenticare» (Lietta Tornabuoni).
Vita Lanciato dall’Alessandria (esordio in serie A non ancora sedicenne il 2 giugno 1959), dal 1960 al 1979 al Milan, vinse tre scudetti (1962, 1968, 1979), due coppe dei Campioni (1963, 1969), una Intercontinentale (1969), due coppe delle Coppe (1968, 1973) ecc. 130 i gol in serie A. Con la Nazionale vinse l’europeo del 1968 e fu secondo ai mondiali del 1970 (in tutto 60 presenze e 14 gol). Pallone d’oro 1969 (primo italiano a vincerlo), secondo nel 1963 (dietro il leggendario portiere sovietico Lev Jascin). Intrapresa la carriera politica, nell’87 fu eletto alla Camera (Democrazia Cristiana), rieletto nel 1992, 1994 (Patto Segni), 1996 (Ulivo). Fu sottosegretario alla Difesa nel Prodi I, D’Alema I e II, Amato II (1996-2001). Nel 2005 subentrò a Mercedes Bresso, eletta presidente della Regione Piemonte, come deputato del Parlamento europeo. Nel 2013 si candidò al Senato nelle liste del Centro democratico di Tabacci, ma non fu eletto.
• «L’apparizione del suo genio avvenne ai primi di giugno del 1959, in un Alessandria-Inter, penultima giornata del penultimo campionato che l’Alessandria avrebbe disputato in serie A. Dall’altra parte c’era Aristide Guarneri, poco più grande di lui, con cui avrebbe fatto tanta strada in Nazionale. “Ricordo poco di lui, un ragazzo gracile, che toccava bene la palla”. Meazza, quando lo vide, lo paragonò a se stesso. Gracilino. Ma certo, aveva meno di sedici anni in tempi in cui non si “costruiva” il corpo. “Ma io correvo, a calcio se non si corre non si può giocare”. L’anno dopo, ancora con la maglia dell’Alessandria, segnò al Vomero un gol in slalom, saltando un paio di difensori del Napoli, e “appena dentro l’area calciai di destro e presi in contropiede Bugatti. Pedroni che era il centromediano, il capitano e l’allenatore, venne ad abbracciarmi piangendo”. Certo i dribbling non li aveva fatti da fermo, ma intanto si portava dietro quell’etichetta di minorato fisico. Glielo riconosce adesso anche Giovanni Lodetti, quello che, si diceva allora, correva per lui. “Non era vero che non corresse: più semplicemente, al Milan avevamo capito che era comunque meglio farlo rimanere lucido evitandogli di spomparsi”. Giocò le prime partite con il numero 9 sulla schiena, poi fu subito 10. L’Alessandria l’aveva offerto alla Juventus, ma era stato respinto appunto perché “gracilino”. Il Milan capì invece chi era quell’impassibile figlio di un contadino e lo prese per 90 milioni, cifra per allora di una certa consistenza. Fu subito titolare dalla prima giornata, nella stagione 1960-1961, con il 10 sulle spalle. È stato il leader di un gruppo di giocatori che negli anni 60 rinnovò il calcio italiano, la generazione che arrivò immeritatamente quarta alle Olimpiadi di Roma. L’Italia che non si era qualificata ai Mondiali 1958, che viveva solo di Charles e Sivori, rinasceva con lui e Bulgarelli. Il primo scudetto, a 19 anni (“Il ricordo più bello, una gioia particolare, ero giovane”), la Coppa dei Campioni a 20 anni, quando il “gracilino” strappò il pallone a centrocampo e lanciò due volte Altafini in contropiede contro il Benfica, a 21 anni capitano della Nazionale (“ma perché si era infortunato Salvadore”), e poi a 26 la grande vittoria sull’Ajax, la seconda Coppa dei Campioni, con la famosa azione del quarto gol. Rivera tentò di saltare il portiere e si allargò il pallone, troppo. Allora si fermò e mise a mezz’aria una palla sul palo lontano sulla quale si avventò Prati, che aveva capito tutto partendo cinque secondi e cinquanta metri prima. A vederla, stupisce ancora il tocco perfetto con il quale Rivera mette il pallone lì dove non c’è nessuno. Aldo Maldera raccontò una volta che Rivera gli disse: quando ho la palla, anche se io non ti guardo scatta e io te la faccio trovare davanti. Maldera magnificava la precisione di quei passaggi. Ma è vera questa storia? “È vera, ma nel senso che accadeva. Ma non ce lo siamo mai detto. È l’intesa che hai con i compagni che fa accadere queste cose”. Il miglior talento del calcio italiano ha avuto anche molti nemici. “C’era una cupola che decideva, tra giornali e federazione, gente per di più con una mentalità ‘federale’, nel senso del Ventennio. Una minoranza che aveva il potere e i suoi servi sciocchi. Tutti i guai nascevano da lì. E il Milan allora non aveva peso politico, non aveva rapporti con questa struttura”. Nella semifinale dei mondiali 1970 contro la Germania fu il protagonista del minuto più eccitante della partita più eccitante di tutti i mondiali azzurri. Era vicino al palo, avrebbe dovuto impattare il colpo di testa di Müller. “Credevo che andasse fuori, cercai di deviarla con l’anca. Non mi venne neanche in mente di deviarla con il braccio”. Fu 3-3. Ma poco più di sessanta secondi dopo, il riscatto e l’Italia in finale, quando sul cross di Boninsegna scelse di prendere in contropiede Maier. “Ebbi la visione del portiere che si spostava e si tuffava. Anche se poi non si era ancora spostato e stava per prenderla! Più che una visione è stata una premonizione”. E fu 4-3. Quella finale Rivera non la giocò, la cupola gli concesse solo sei minuti all’Azteca, un affronto al talento e al buon senso» (Corrado Sannucci).
• «Abatino è una definizione che Gianni Brera affibbiò a me, Mazzola e Bulgarelli. Loro due se ne infischiarono, mentre io risposi, innescando una polemica. Andò a finire che l’unico abatino rimasi io, ma il termine non mi ha mai infastidito».
• «Con Mazzola ci sono sempre stati rispetto e stima reciproca, mai amicizia, perché all’epoca era impensabile che i capitani di Milan e Inter si frequentassero. In Nazionale, però, legavamo benissimo perché possedevamo caratteristiche diverse» (a Mario Gherarducci).
• Ultima partita un Lazio-Milan del 1979 poi per sette anni alla vicepresidenza della società fino all’arrivo di Berlusconi: «Era abbastanza evidente che, per quanto mi riguardava, non ci sarebbe stata possibilità di proseguire un rapporto all’interno del Milan, perché c’era un modo di pensare abbastanza diverso. In quello stesso periodo, Gianni Goria, che era ministro del tesoro del governo Craxi, e Bruno Tabacci, che era segretario regionale della Democrazia Cristiana in Lombardia, ed io ci trovammo in un paio d’incontri con amici comuni e allora nacque l’idea di poter pensare di candidarmi».
• «Gianni per me resta un idealista, uno privo del senso degli affari, tanto che se gli uomini fossero nati senza testa lui magari avrebbe potuto mettersi a fabbricare cappelli» (l’ex presidente del Milan Giuseppe Farina).
• «È stato un grande numero 10, senza una favela o un barrio miserabile a spiegarne la vocazione e il talento. Si è sempre esposto in prima persona pagando di persona e non ha mai dato una mano alla costruzione di un suo monumento celebrativo. Se proprio era il caso, sapeva correre, ma al Milan i compagni capirono presto (lo ammise Lodetti) che correre per lui era meglio. Nel ’68, con Mazzola, De Sisti, Bulgarelli e altri capitani famosi fondò il sindacato dei calciatori» (Gianni Mura) [Rep 18/8/2013].
• Fino al 2008 delegato alle politiche sportive del Comune di Roma (con Veltroni sindaco). Già tra i delegati della Rosa Bianca, alle politiche del 2008 ha rinunciato alla candidatura con l’Udc. «Ho sempre creduto poco nel Partito Democratico. E infatti abbiamo consegnato il Paese, e a sorpresa anche Roma, all’altra parte».
• Nel 2010 il presidente Giancarlo Abete lo chiamò alla presidenza del Settore giovanile e scolastico della Figc; nel 2013 passò alla guida del Settore tecnico di Coverciano.
• Si è posizionato 20°, primo degli italiani, nella classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dalla Iffhs. Nel 2004 è stato inserito nel Fifa 100, la lista dei 125 più grandi giocatori viventi; nel 2013 è entrato a far parte della Hall of Fame del calcio italiano.
• Sposato con Laura Marconi, hanno due figli: Gianni e Chantal. Un’altra figlia, Nicole, nata nel 1977 da una relazione con la soubrette Elisabetta Viviani.
Frasi «Io non mi sono mai stupito dell’eccezionalità delle cose che sapevo fare, avevo questo dono e l’importante era non sprecarlo».
• «Devo molto a mio padre, Teresio. Faceva il ferroviere, votava socialista. Mi ha insegnato ad anteporre gli ideali alle ideologie. Nel 1968, con Sergio Campana, Giacomo Bulgarelli, Sandro Mazzola e altri fondammo il sindacato calciatori. Ecco, gli eccessi sessantottini non li ho mai capiti. E pure i traumi di Tangentopoli mi hanno lasciato perplesso. Avrei preferito sbaragliare la vecchia politica con metodi meno cruenti. Per esempio, a colpi di referendum».
• «Cosa ricordo della mia gioventù? Che non sono mai stato giovane».
Tifo «Mi sento un tifoso del Milan fino a quando i risultati non vengono sfruttati dal suo presidente a titolo personale».