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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Dacia Maraini

• Fiesole (Firenze) 13 novembre 1936. Scrittrice. «Mi piace innamorarmi. È uno stato che mi dà calore, leggerezza».
Ultime Ha pubblicato Chiara d’Assisi. Elogio della disobbedienza (2013), L’amore rubato (2012), La grande festa (2011), Il treno dell’ultima notte (2008) e Il gioco dell’universo. Dialoghi tra un padre e la figlia (2007). Tutti Rizzoli. Pietro Carriglio ha portato a teatro A piedi nudi, tre ritratti di donna desunti da suoi monologhi, due dei quali inediti.
• Ha perso il compagno Giuseppe Moretti, attore teatrale, regista e musicista con cui stava da 12 anni, morto quarantasettenne il 31 dicembre 2007 al termine di una lunga malattia.
Vita Figlia dello scrittore e antropologo Fosco Maraini (1912-2004). Tra i suoi testi più importanti, L’età del malessere (1963, contestatissimo premio Formentor, il libro che l’ha lanciata), Donna in guerra (1975), Isolina (1985, premio Fregene), La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990, premio Campiello), Bagheria (Rizzoli 1992). Nell’80 scrisse in collaborazione con Piera Degli Esposti Storia di Piera. Con la raccolta di racconti Buio (1999) vinse il premio Strega. Nel 2002 pubblicò La nave per Kobe, in cui rievocò l’esperienza infantile della prigionia in Giappone. Dal 1962 al 1983 fu compagna di Alberto Moravia (1907-1990): «Certamente per me agiva il fascino del grande scrittore, coltissimo, straordinario conversatore, ma devo dire che era un uomo giovane di spirito e di corpo, pieno di allegria e di voglia di vivere, rispettoso della libertà altrui e incapace di alcuna prepotenza. È questo carattere che mi ha innamorata. Avevamo gli stessi gusti per i cibi semplici, per i viaggi, per la lettura e abbiamo vissuto bene insieme per anni» [da Addio a Roma di Sandra Petrignani (Neri Pozza 2012)].
• «I suoi genitori, belli, intelligenti, anticonformisti. Fosco Maraini e Topazia Alliata, che per le loro nozze mandarono una partecipazione con un biglietto-fotografia che li ritraeva nudi in spiaggia. La sua infanzia in Giappone dove suo padre si era trasferito per lavoro, ma anche per allontanarsi dal regime fascista che detestava, tanto che tutta la famiglia finì poi in un campo di concentramento dopo il rifiuto di firmare un’adesione alla Repubblica di Salò» (Patrizia Carrano). Il padre, per ottenere rispetto dai carcerieri, compì un gesto estremo: «C’era un ceppo per tagliare la legna e una scure che mio padre afferrò. Davanti a tutti noi la fece precipitare sul suo mignolo. Io ero piccola. Mi misi a piangere di fronte a un atto tanto cruento: c’era sangue dappertutto! Come se non bastasse, i soldati hanno cominciato a picchiare mio padre: calci, pugni, grida. Ma il gesto ormai c’era stato. Mio padre aveva inviato un messaggio preciso che in quel Paese non poteva essere frainteso. Per il comandante del campo e per gli altri giapponesi che ci sorvegliavano quella dimostrazione di orgoglio e coraggio creò un’obbligazione, meritò rispetto. E così, dopo una settimana, mio padre ottenne una capretta e il latte da dare a noi bambine». «Il suo innamoramento adolescenziale per il padre “che rappresentava l’avventura, il viaggio, la fuga, mentre mia madre era più impigliata nelle difficoltà delle piccole battaglie quotidiane. Noi siamo stati poveri, poverissimi e la mamma, di notte, restava sveglia con l’incubo dei soldi e dei debiti. Solo da grande ho imparato ad apprezzarne il grande coraggio e il forte senso di libertà”» (Patrizia Carrano).
• «Sono stata una bambina molto molestata e assediata dagli adulti; ero fragile e bionda e facilmente mi mettevano le mani addosso».
• «Un’opera prima aspra, asciutta, stranamente matura. Senza alcuna concessione al sentimentalismo o ai toni gridati. Una storia di iniziazioni sessuali vissute da una ragazzina undicenne e dal fratello minore in un luogo di villeggiatura della costa laziale, nell’anno di guerra 1943, sullo sfondo di una società borghese piccola piccola, incapace di ideali o passioni. Un’atmosfera tanto più torbida quanto più la violenza dell’eros è sempre sottaciuta o solo allusa, non rappresentata in dettagli e descrizioni. È La vacanza, il romanzo che Dacia Maraini scrisse tra i 17 e i 20 anni – tra il 1953 e il 1956 –, lo stesso periodo in cui la diciannovenne Françoise Sagan pubblicava Bonjour tristesse, diventando subito un caso. Ma la giovane Dacia, autrice di un’opera stilisticamente assai più sorprendente e meno frivola, non ebbe altrettanta fortuna: grande difficoltà prima di vederla stampata e, poi, critici indifferenti o stroncature al limite del dileggio in cui sembra prevalere un risentimento scandalizzato. Parlano infatti (a sproposito) di “perversione sessuale”, “turpiloquio” e “pornografia”; nonché di “deformazione, distruzione ed esecuzione capitale del romanzo realista”. Ma, si sa, era ancora un’epoca di grande ipocrisia» (Marisa Rusconi).
• «Moravia comunque lesse il romanzo, il suo giudizio fu subito positivo e mi diede l’appoggio della sua introduzione. Il rapporto d’amore cominciò più tardi».
• Alla vittoria del premio Formentor con L’età del malessere, romanzo e premio che le diedero la notorietà, Moravia fu accusato di averla aiutata, raccomandata ecc. S’erano conosciuti che lui «aveva solo 49 anni ed era affascinante e sexy, oltre che molto, molto bello. I suoi libri mi piacevano», ma era «incantata da sua moglie Elsa Morante, di cui ero una lettrice appassionata». Per qualche anno frequentò tutti e due: «Andavo spesso a casa loro per cene e pranzi, perfino per Natale. Avevo il mito di quella coppia, di com’erano, di come vivevano». Non ebbe tuttavia nessun rimorso a iniziare la relazione: «Quando nel 1963 io e Alberto decidemmo di vivere insieme Elsa non dimostrò nessuna ostilità. Già da vari anni erano staccati, indipendenti». Moravia non volle mai divorziare dalla Morante: «Ma a me di sposarmi non importava nulla, quindi non c’era nessun conflitto». I suoi continui flirt, invece, la facevano star male: «Era un dongiovanni, fedele nei suoi affetti ma molto incostante nella vita erotica. Spessissimo erano le donne a fargli la corte, anche sotto i miei occhi». Una volta «ero entrata per caso nel suo studio, dove stava dando un’intervista a una giornalista che non conosceva. Lei gli era addosso. Scappai via piena di imbarazzo». Si lasciarono dopo vent’anni perché lui s’era innamorato di Carmen Llera, 46 anni più giovane: «All’inizio era stata una storia come tante altre. Poi il loro legame era diventato sempre più importante, finché Alberto mi aveva detto che voleva vivere con lei» (da un’intervista di Chiara Valentini).
• Negli anni Sessanta sposò il pittore Lucio Pozzi: «“Lucino”, lo chiamava sua madre Ida, una donna bellissima con cui facevo delle grandi chiacchierate nel giardino di casa sua, sul lago di Garda. Eravamo sposati da qualche mese e già aspettavo un figlio ed ero felice. Ida ci ospitava e mi accudiva. Mio marito spariva per dipingere, ma poi rientrava presto la sera per poter cucinare per me, anche se in casa di mia suocera c’era una cuoca bravissima. Purtroppo, proprio poco prima di nascere, il figlio ha deciso di tornarsene da dove era venuto. Non ho ancora capito perché. I medici dicono che era messo male. Fatto sta che ha detto no, questo mondo non lo voglio conoscere. Fino a quel momento gli avevo parlato e ne avevo seguito con allegria i movimenti. “Senti che capriole fa il mio bambino!” dicevo a Lucio e a Ida. “E poi è proprio strano, ma sembra che canti”. E sia lui che lei si mettevano con l’orecchio sulla mia pancia per ascoltare la voce del bambino. Ma un giorno il piccolo acrobata cantante ha smesso di fare le capriole e si è piantato di traverso, pesante come un sasso, tanto che non voleva proprio venire fuori. Stavo per morire anch’io. E non mi dispiaceva, pensavo di andare via abbracciata a quel bambino amato prima di conoscerlo. Ma qualcuno, non so se un dottore o un angelo gentile, mi ha tirata per i capelli e mi ha riportata al mondo. Per settimane e settimane non sono riuscita né a leggere né a scrivere. Mi sentivo un moncone».
• «La mia giornata? Mi alzo presto, alle sette, mi lavo, mi vesto e porto a spasso il cane (una carissima, Ginni, mi è morta tempo fa. Dopo un anno di lutto, ne ho presa un’altra che si chiama Bionda ed è una volpina color miele); poi mi metto al tavolino e ci resto fino alle due, ora in cui pranzo. Quindi un poco di riposo e poi altro tavolino. Però nel pomeriggio mi dedico anche ad altre cose tipo interviste, incontri teatrali, eccetera. Scrivo col computer. Ho molti libri intorno a me, anzi direi che scrivo in una camera tappezzata di libri. Poi la sera vado al cinema o a teatro o a cena con gli amici».
• «Non sono un’atea, sono un’agnostica. Non mi interessa la religione in quanto sistemazione del mondo. Però mi interessa la dimensione della spiritualità» [Maria Serena Palieri, Uni 15/10/2013].
Critica «La più grande scrittrice del Novecento» (gli organizzatori di Cervia, la spiaggia ama il libro).
• «È una scrittrice che riesce a dare complessità a una lingua abbastanza comune, ma lavorata con cura. È un talento che la critica – malevola se non proprio ostile, in un passato ormai lontano – le ha riconosciuto solo sull’onda del grande successo di un libro “semplice” eppure densissimo come La lunga vita di Marianna Ucrìa, longseller da più di un milione di copie» (Luciana Sica).
• «Da un po’ di tempo in qua crede di essere un’intellettuale: per di più un’intellettuale “civile” o, come si diceva una volta, “engagée”. Contrabbandare buoni sentimenti è il modo migliore per strappare l’applauso, e la sola preoccupazione di Dacia Maraini è strappare l’applauso delle signore per bene che si commuovono di fronte alle brutture del mondo» (Fabrizio Rondolino).
Frasi «Credo che come si legge da ragazzi non si legga più da adulti».
• «Sono nata sotto un segno d’acqua e l’acqua è sempre stata per me una compagnia familiare. Le mie case le ho sempre scelte vicino ai fiumi, o in riva al mare. Ho praticato anche i laghi ma con meno slancio. I fiumi sono le mie acque preferite per via di quel loro correre serpentino in mezzo alle terre più diverse, per quella loro capacità di scomparire e riapparire, spargersi e ritirarsi con poetica irruenza».
• «Con gli anni mi sono convinta che il primo lettore deve essere lo scrittore stesso, l’orecchio è il tuo, sei tu che devi capire dove sbagli e dove stoni. All’inizio chiedevo consigli agli amici, ma mi dicevano tutti cose diverse e spesso opposte: mi piace l’inizio, il resto così così... E un altro: l’inizio non tiene, ma il resto funziona... Meglio lasciar perdere».