28 maggio 2012
Tags : Franco Branciaroli
Biografia di Franco Branciaroli
• Milano 27 maggio 1947. Attore, soprattutto teatrale. «Chi studierà il teatro di questi anni, dovrà mettersi i guanti: escrementi e sperma non mancano mai» (a Claudia Provvedini).
• Vita Scuola del Piccolo nel ’68. Sale per la prima volta in palcoscenico nell’estate del 1970 (La battaglia di Lobowitz di Peter Hacks, regia di Guy Rétoré). Debutta davvero poco dopo nel Toller di Tankred Dorst, diretto da Patrick Chéreau. Il primo ruolo da protagonista glielo dà Aldo Trionfo, nel Gesù di Dreyer per lo Stabile di Torino (1974). I due si erano incontrati in occasione della rappresentazione di Arden of Feversham, un testo elisabettiano attribuito qualche volta a Shakespeare e messo in scena dallo Stabile dell’Aquila, dove Trionfo lavorava in quel momento. Il regista capì il talento di Branciaroli, attore classico ed eversivo, già allora padrone di una personale vena antinaturalistica, primo attore per nascita, fisicamente bellissimo. Dopo averlo provato in Peer Gynt di Ibsen, nell’Ettore Fieramosca di d’Azeglio e soprattutto nel Nerone è morto di Miklòs Hubay – dove Branciaroli, trovandosi al fianco di Wanda Osiris, inaugurò la prima delle sue numerose contaminazioni – gli diede da interpretare il Gesù di Dreyer in prima mondiale e soprattutto allestì con Lorenzo Salveti un pastiche intitolato Faust – Marlowe – Burlesque per inscenare il più straordinario dei mano-a-mano teatrali, cioè l’accoppiata con Carmelo Bene in cui i due, nel corso della stessa serata, si scambiavano i ruoli di Faust e Mefistofele.
• Alla fine del 1984 l’incontro con Giovanni Testori e l’inizio dell’esperienza col teatro degli Incamminati. Branciaroli era già a quel punto un attore affermato: aveva fatto con Carmelo Bene Giulietta e Romeo (interpretando Romeo), poi con Puecher la Turandot di Gozzi, a fianco di Valentina Cortese, quindi era stato a Prato, al laboratorio di Ronconi (Sigismondo ne La Torre di Hofmannsthal e poi L’uccellino azzurro di Maeterlinck), lo avevano quindi voluto Scaparro per Il revisore di Gogol e Squarzina per l’Oreste di Euripide a Siracusa e un Caligola di Camus per la Rai. La Compagnia degli Incamminati – decisiva nel percorso di Branciaroli – aveva allora debuttato da poco: un Post Hamlet con Adriana Innocenti e un solo lavoro di Testori, l’Erodiade degli Innocenti. Testori – scrittore cattolico, omosessuale, di rara oscurità e potenza espressiva – era già celebre per i romanzi Il Ponte della Ghisolfa e L’Arialda, pubblicati a metà degli anni Cinquanta, e con gli Incamminati sperimentava allora un percorso teatrale. Indicò in Branciaroli l’attore giusto per lui e Branciaroli portò poi in scena Verbò, Sfaust, SdisOrè e soprattutto In exitu, monologo di Riboldi Gino, tossico milanese, che un’ora prima di farsi l’ultima pera in un cesso della Stazione centrale si racconta in dialetto, in latino, in volgare antico, gridando la sua disperazione con una lingua smozzicata, frammentata, dove i suoni risultano a volte più significanti delle parole. Branciaroli ne fa un cavallo di battaglia e lo porta in scena di continuo fino a che lo scrittore è in vita. Lo riprenderà poi nel 2003, sempre sotto l’egida degli Incamminati.
• In questo curriculum di forte caratura intellettuale, confermato da apparizioni cinematografiche ugualmente alte (tra gli altri: Vizi privati e pubbliche virtù di Miklós Jancsó nel 1976, Il mistero di Oberwald di Antonioni nel 1980) sorprende l’adesione totale al cinema di Tinto Brass, che lo chiama per La chiave con la Sandrelli e lo vorrebbe poi in tutti i suoi film, come racconta lo stesso Branciaroli. Il quale, ai giornalisti stupiti della sua disponibilità e troppo poco flessibili per afferrare il suo piacere della contaminazione, Branciaroli risponde: «Io ho fatto il miglior cinema che c’è adesso: cinque film con Brass» (ad Anna Mari). Si riferisce a Brass anche un’altra sua frase: «Non è la sensualità che allontana da Dio, ma l’astrazione».
• «Il problema, nei film di Brass, è che la legge è ridicola: puoi apparire nudo, ma è vietato mostrare un’erezione vera, ammesso che poi ti venga su un set pieno di estranei. In compenso, se l’erezione è simulata, va bene. Così, dovevo indossare un fallo finto tenuto su da una striscia di tulle: una protesi scomodissima, non riuscivo neanche a sedermi, e se dovevamo ripetere la scena finivo per restare così anche tre ore».
• Della carriera teatrale successiva di Branciaroli, tutta al massimo livello, vale la pena ricordare ancora I due gemelli veneziani di De Bosio, dove interpretava sia la parte di Tonino che quella di Zanetti, e la Medea di Euripide, sempre per la regia di Ronconi, in cui vestì i panni della stessa Medea, con tanto di reggipetto e sottoveste (1996).
• «“La prima domanda che fanno tutti, naturalmente, è perché Medea diventa un uomo”. Già, perché? “Non c’è una risposta, perché se ci fosse una risposta a portata di mano, potete giurarci che Ronconi non lo avrebbe fatto mai. Però possono esserci motivi di vario genere”. Quali? “Un buon motivo potrebbe essere quello che un uomo senza fare imitazioni plateali, da travestito, deve rendere esplicito tutto quello che una donna, quando sbuccia una patata o apparecchia la tavola, si può permettere il lusso di non rendere così esplicito. E questa forzatura, naturale per un uomo che recita la parte di una donna, può servire a suggerire tutta una serie di intenzioni nascoste, segrete di Medea (...) Bisogna premettere che Ronconi ha spostato la vicenda ai giorni nostri. Medea come una straniera, mettiamo un’albanese, abita un grosso caseggiato di periferia. In scena indossiamo abiti dopoguerra anni Cinquanta, io una sottoveste nera un po’ neorealista, tolto l’abituccio a fiori del finale. Anche la recitazione, dunque, pur usando parola per parola il testo di Euripide, deve sembrare quasi un parlato quotidiano, deve essere un classico quotidiano dove c’è la naturalezza del cinema e sostenuta una grande tensione, altrimenti diventa robetta... Ci vuole molto lavoro, e la consapevolezza grammaticale di ogni sillaba e figura retorica della lingua italiana. Con Ronconi l’attore impara che il vero ipertesto sono gli Elementi di Grammatica Generale pubblicati da Utet...”» (a Nico Garrone).
• Tra le interpretazioni successive, La vita è sogno di Calderón de la Barca, che gli vale il premio Ubu, e lo Hamm di Finale di partita di Beckett (nel 2006). Ha interpretato anche Vita di Galileo di Brecht (2007, regia di Antonio Calenda), Ifigenia in Aulide (2012, regia di Gianpiero Borgia).
• Al cinema è stato il padre di Elena in Bianco e nero di Cristina Comencini (2007). Nel 2010 ha fatto parte del cast de La donna della mia vita di Luca Lucini.
• Ritorno in tv con I viceré di Roberto Faenza (2007). L’anno successivo ha recitato ne I liceali.
• Qualche regia teatrale (ancora La vita è sogno), tra cui Don Chisciotte della Mancia (2009) e Servo di scena (2011).
• Commenti «Attore tragico che, sollevando un sopracciglio, si tramuta in un carattere esilarante (...) sicuro di sé al punto di apparire arrogante (...) primattore nato (...) adulto irsuto e fiero, coi piedi spavaldamente piantati a terra, ma con l’incontenibile voglia di giocare (...) per incarnare un Re Lear carico d’anni non esitò a ingrassare fino all’inverosimile per poi stupire tutti quanti quando poco dopo nelle vesti di Otello sfoderò un fisico scattante da pantera nera» (Enrico Groppali).
• «Uno degli ultimi mattatori della scena teatrale italiana. Uno, per intendersi, che vale la pena di vedere anche solo per 15 minuti perché si sa già che saranno unici» (Angela Calvini).
• Frasi «Io penso che l’attore è quello che nella vita recita meno: si sfoga sul palcoscenico poi fuori se ne purifica» (a Cristina Caccia).
• «Mai litigato neppure con un regista, e me ne son capitati di incompetenti: ma, pensavo, ciò sarà tanto più evidente quanto più eseguirò i loro dettami! Così è stato...».
• «Sono fortunato perché lavoro. Ho una compagnia mia e non ho l’angoscia di tanti miei coetanei. Che molti attori di 60 anni vivano nell’incertezza è un atto d’accusa verso i teatri pubblici, che non hanno compagnie stabili. Che cos’è un teatro senza attori? E poi, se perdi gli appoggi, non conti più niente. La colpa di ciò? Del Sessantotto. Oggi puoi dire che Harry Potter è come Antigone. Questa nefasta visione del mondo ha distrutto anche il teatro. Il teatro è un’arte relativa. La mancanza del principio d’autorità, nata col Sessantotto, ha portato il teatro ad autodistruggersi. Non si sa più che cosa sia un attore, un regista. C’è stato un periodo in cui bastava fumare una sigaretta in scena per credersi attore. Non scherziamo. Luci di speranza? L’unica luce è che vai in scena. Io applico ancora il principio di autorità e spero di essere un punto di riferimento. Ecco perché dirigerei volentieri uno Stabile. Tutto ciò che è struttura portante è urgente che venga diretta da gente che sa il fatto suo, non dai sociologi o dai politici. Ormai la classe dirigente teatrale ha fallito. E nella classe dirigente metto anche gli artisti che hanno il potere» (a Osvaldo Guerrieri).
• Vizi Mangiatore: «A tavola non ha rivali. Indimenticabili, ai tempi del nostro Otello, le bevute, le scorpacciate e le discussioni infinite che ci hanno persino portato a complicare, a rovinare un po’ lo spettacolo che all’inizio era bellissimo» (testimonianza di Umberto Orsini a Rodolfo Di Giammarco).