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 1985  ottobre 17 Giovedì calendario

Applausi, musica e brindisi per i reduci della Lauro

La Repubblica, 17 ottobre 1985


GENOVA – Sono le 23,07 quando la prua dell’Achille Lauro spunta dalla Marinetta. Dal ponte dei Mille un primo applauso. Le fotocellule inquadrano le due ciminiere, la nave ha illuminato il gran pavese, la pilotina fa manovra per l’attracco di poppa nella cala della banchina numero quattro. Gli applausi scoccano ancora alle 23,15. I trecentotredici uomini dell’equipaggio intonano l’inno della flotta, «L’Achille Lauro gira per il mondo / scivola sull’onda e al mattino presto se ne va» cantano in coro, ci sono bandiere italiane, c’è una bandiera polacca, c’è anche una bandiera portoghese sui ponti più alti, a terra, invece più che festa c’è grande gazzarra. Sulla banchina attendono da più di quattro ore, 250 familiari dei marittimi, giunti da Napoli con un treno speciale. Centinaia di giornalisti premono per entrare, il neo sindaco Cesare Campart è letteralmente schiacciato contro una transenna assieme al vicepresidente della Regione, il liberale Bruno Valenziano, polizia, carabinieri, finanzieri fanno a gara per creare confusione. Finalmente si entra. I parenti abbracciano i marittimi, intanto chi grida più di tutti è Aniello Langella, «dove è mio fratello, l’hanno ferito, voglio vederlo» grida e si infila sul ponte del vestibolo, cerca il centro medico. Nella seconda stanzetta c’è Pasquale Langella. Quarantacinque anni, di Torre del Greco, ha il polpaccio della gamba destra ferito da alcune schegge provocate da una pallottola di rimbalzo sparata dai terroristi: «Ricordo benissimo quando è successo – racconta – il giorno 8 alle 13,15 mi recavo al posto di lavoro, dovevo pulire la piscina, ho sentito un colpo. Ero in compagnia di un mio collega, insieme siamo tornati indietro, in quel momento vediamo un terrorista che imbraccia un mitra, pieno di bombe ci obbliga ad andare nella sala da pranzo, verso la chiesa. Mi sono girato e mi sono ritrovato a terra ferito. Il terrorista mi ha chiesto scusa, ma era una finta...». Ed ecco finalmente il capitano De Rosa. È molto pallido, vorrebbe parlare, all’inizio non riesce. Capitano ha detto davvero tutta la verità? «Sì, ho detto la verità che si può dire con un mitra piantato alla schiena». Sono stati giorni duri? «Più che giorni sono stati per me anni». Quando ha avvertito le autorità italiane che c’era stato un morto a bordo? «Non ricordo, non guardavo l’orologio». Intanto qualcuno lo chiama. «Capitano, non deve parlare da solo, deve aspettare i magistrati, questi erano i patti». C’è infatti il sostituto procuratore Luigi Francesco Meloni che funge da portavoce dei quattro magistrati, i due siracusani e i genovesi, e forse nessuno vuol far dire al comandante cose che non può dire... A mezzanotte e mezza Meloni prende la parola. «Con un magistrato della procura di Genova e due di Siracusa, per consentire alla motonave Lauro di continuare l’attività crocieristica, ci siamo recati a bordo martedì pomeriggio e con l’assistenza dei nostri collaboratori abbiamo compiuto un’attività istruttoria. Abbiamo ascoltato quattrocento testimoni ed abbiamo effettuato l’ispezione nei punti della nave nei quali sono stati compiuti i reati». Tutto qui? È stata davvero una fatica ascoltare quattrocento persone, non è vero dottor Meloni? «Sì è stata una fatica ma un lavoro proficuo. Per noi il sopralluogo può dirsi terminato. I fatti sono stati chiariti a sufficienza. Si è conclusa in questo modo la fase dell’istruttoria sommaria. Per quel che riguarda la collaborazione fra le due magistrature di Siracusa e di Genova possiamo dire che finora ha consentito rapide indagini». Che cosa ci può dire sulle circostanze che hanno provocato la morte del passeggero americano Leon Klinghoffer? «Non possiamo dire nulla riguardo ai particolari, possiamo soltanto dire che è stato contestato il reato relativo all’articolo 289 bis del Codice penale, aggravato dall’evento della morte. Le persone arrestate sono state quattro, quelle raggiunte da ordini di cattura emessi dalla procura di Genova sono sette, compresi gli arrestati». Ma intanto a bordo circola la voce che il cadavere del turista americano sia stato fatto gettare in mare da due membri dell’equipaggio. Chi sa, e chi ha visto, sarebbe stato fatto allontanare dalla nave, lontano dalle domande dei giornalisti. Qualcuno chiede ai magistrati: Craxi ha detto che è stata raccolta la deposizione di Abu Abbas, l’avete fatto voi? «No, noi non l’abbiamo raccolta». Stesso tono quando è stato chiesto quale aereo militare è stato usato per trasferire il capo dell’Flp dall’aeroporto di Ciampino a quello di Fiumicino: «Non posso rispondere a questa domanda». Ci sono alcune domande sul problema delle reciproche competenze: «È problematico, è chiaro che questo è un fatto singolarissimo, fisiologico in questa istruzione. Se ci saranno problemi in futuro, se ne interesserà la Corte di Cassazione che in questo caso è competente». Dovevano salire a bordo altri terroristi? «No comment». Intanto, mentre il magistrato tiene la sua conferenza c’è il capitano che nel salone degli arazzi parla, ma dice molto poco. Anzi, delude assai chi lo intervista. Ha sentito gli spari? «No, non li ho sentiti: posso dire soltanto che è arrivato uno di questi terroristi, che mi ha mollato il passaporto dell’americano e mi ha detto, seccamente: questo è uno». C’è molta tensione, ed è naturale, dopo una vicenda che ha provocato crisi internazionali, che ha fatto cadere un governo, ed è la prima volta che ciò capita in Italia.

Leonardo Cohen