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 2008  maggio 06 Martedì calendario

C’è un’altra catastrofe in Birmania... • I monaci? Il regime che spara?No, un ciclone tra i più potenti, a cui è stato dato il nome di Nargis

C’è un’altra catastrofe in Birmania...

• I monaci? Il regime che spara?
No, un ciclone tra i più potenti, a cui è stato dato il nome di Nargis. Ha colpito la parte meridionale del Paese, devastando cinque province e in particolare il delta del fiume Irrawaddy. Raffiche a 240 all’ora, villaggi spazzati via, alberi sradicati, case che volano come fuscelli. Un’onda di marea che s’avvicina ai dieci metri e che si produce sempre in questi casi. Siamo poco sotto il Tropico del Cancro, è un’area tipica. Il ministro degli Esteri birmano Nyan Win ha dichiarato alla tv di Stato che i morti sono almeno diecimila. L’agenzia cinese Xinhua parla di 15 mila vittime. Nyan Win dice che si tratta comunque di cifre al rialzo. Non mi meraviglierei se stasera fossimo a trentamila, tra morti e dispersi.

• Il regime c’entra qualcosa? Voglio dire: le politiche ambientaliste...
Il regime ha accettato i soccorsi, che sono subito partiti da tutto il mondo, la Thailandia ha spedito un C-130 con 9 tonnellate di medicinali, la Commissione europea ha messo a disposizione due milioni di euro, gli Stati Uniti 250 mila dollari, noi 123 mila euro. Ma sarebbe importante anche che i birmani si facessero aiutare da soccorritori esperti. E qui il governo dei generali - che, come sa, sta nascosto in un bunker costruito apposta in mezzo a una foresta - ha risposto di no. Non vuole americani sul suo territorio, gente - secondo la loro mentalità - che comincia con i soccorsi e non si sa dove può finire. Le ricordo che Bush, e in particolare sua moglie Laura, hanno un fatto personale col regime birmano, di cui si sono augurati la fine anche ufficialmente. Del resto, i generali hanno rifiutato anche soccorritori italiani, la nostra Protezione civile s’era offerta di mettere a disposizione delle squadre di esperti.

• Ma questi cicloni, alla fine, che cosa sono? E che differenza c’è con gli uragani o, mettiamo, con i tifoni?
I cicloni sono movimenti rotatori delle masse d’aria. I movimenti di queste masse d’aria sono determinati in primo luogo dal riscaldamento del mare (minimo 26° Celsius). Facciamocelo spiegare ancora meglio da Carlo Rubbia, il nostro premio Nobel: « Gli oceani sono come pentole piene d’acqua sui fornelli della cucina. Se giriamo la manopola e alziamo, la fiamma l’acqua bolle. Si crea vapore che determina la formazione di uragani». Quanto alla differenza tra cicloni, uragani eccetera: è tutta la stessa cosa. Si adoperano parole diverse per indicare gli stessi fenomeni. Nell’Atlantico e nel Pacifico settentrionale si dice “uragano”, adoperando il nome caraibico dei dio del male, “Hurican”. Nel Pacifico occidentale il termine preferito è “tifone”. In Australia vengono chiamati “willy-willy”, Nell’Oceano Indiano, che è il caso di oggi, “cicloni”. Sono classificati in base alla scala Saffir-Simpson, che si riferisce sostanzialmente alla forza del vento e prevede cinque classi. La classe cinque, quella peggiore, è quella con venti superiori ai 248 chilometri l’ora di media. Le agenzie dicono che Nargis è di classe 3, ma si tratta forse di una valutazione vecchia. Dopo quello che ha combinato in Birmania è forse salito a classe 4.

• S’è capito qualcosa sul perché si formano?
Poco. I misteri sono sostanzialmente quattro. Perché sono così intensi? L’opinione generale è che ci sia un nesso con l’aumento della temperatura marina, soprattutto con il riscaldamento della superficie. Ma è una risposta ancora poco accurata. Secondo mistero: perché ogni anno ce ne sono 80-90 e mai – per dire – 20 o 200? Sembra una questione di lana caprina, in realtà si tratta del primo passo per fare previsioni sicure. Terzo mistero: come nascono e perché si muovono in una certa direzione e non in un’altra? Risposte precise non ce ne sono. Quarto mistero: perché nel Mediterraneo non se ne formano mai? probabile che la risposta a questa domanda abbia a che vedere con l’estensione della superficie marina. Ma più di questo, gli scienziati non sanno dire. Sa qual è il problema, tra l’altro? Che il sistema del clima, oltre a essere terribilmente complesso, è unico. Cioè, è unico ogni fenomeno: non si possono fare studi comparativi, non sono ammessi esperimenti controllati e l’unica risorsa sono i modelli matematici, che hanno limiti enormi.

La cosa non ha a che vedere col riscaldamento globale, insomma il cattivo comportamento dell’uomo sulla Terra?
Guardi, la storia del riscaldamento è tutta da verificare e dopo che l’Ipcc ci ha tormentato con le sue previsioni catastrofiche, l’altro giorno Nature ha pubblicato i risultati di uno studio tedesco in base al quale nei prossimi dieci anni andremo incontro non a un riscaldamento, ma a un raffreddamento. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 6/5/2008]