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 2011  gennaio 10 Lunedì calendario

Paolo Costa: «La Tav è un problema sottovalutato: non è solo della Val di Susa, ma di mezz’Italia»

La Stampa, 10 gennaio 2010


«La Tav è un problema sottovalutato: non è solo della Val di Susa, ma di mezz’Italia. Capisco gli Osservatori, le battaglie locali: ma a me, ad esempio, chi mi rappresenta? Come porto di Venezia, se avessi la Tav potrei vendermi meglio il mio ”transit time” con Port Said-Suez. Potrei aprirmi a un mercato francese che oggi mi è inibito».

Paolo Costa, ex ministro dei Lavori pubblici, parla come numero uno dell’Autorità portuale di Venezia, ma anche nelle vesti di presidente del Gruppo di lavoro incaricato dalla Commissione Ue di individuare – in vista della revisione della lista dei progetti prioritari per le reti di trasporto trans-europee – quelle infrastrutture rilevanti per tutta l’Unione: porti, corridoi ferroviari, etc. «Nel 2005 ne erano stati individuati 30 ed era stato stabilito che nel 2010 ci sarebbe stata una revisione», spiega.

Un affinamento. Che guarda caso, coincide proprio con la rivoluzione epocale in atto, post-crisi. Rivoluzione che ha già visto, e vedrà l’Asia diventare il centro del mondo. Proprio alla luce di tutto ciò, si può parlare anche di Tav. «Il discorso, in realtà, è più ampio. L’Europa è chiamata ad adeguare la sua politica economica, e dunque infrastrutturale, ai mutamenti globali. È ormai pacifico che oggi, ma soprattutto domani, si debba e si dovrà guardare sempre più a Est. Alla Cina, all’India, che saranno i nostri mercati del futuro. Costruendo le reti necessarie per gestire questi nuovi flussi di merci», spiega Costa.
Una nuova partita, in cui il Mediterraneo, e l’Italia, potrebbero giocare un ruolo importante. «Attualmente le merci da e per la Cina sono sbarcate e imbarcate in quantità preponderante nei porti del Nord Europa, per poi essere distribuite nel vecchio Continente: su ruote, binari, fiumi. L’Ue si è già accorta che questo sistema genera una quantità enorme di emissioni di CO2, che potrebbe essere abbattuta se parte di queste merci venissero movimentate dai porti del Mediterraneo. Solo l’Italia, forse, non lo ha ancora compreso appieno».

Il punto è che i porti dell’Alto Tirreno e dell’Alto Adriatico potrebbero diventare le «porte», d’entrata e d’uscita, dell’Europa. «Un container sbarcato a Genova mette molto meno tempo, consuma molta meno energia e produce molto meno inquinamento per raggiungere Parigi di quanto non succederebbe se venisse sbarcato a Amburgo o Rotterdam. E la stessa cosa, parlando di Praga o Monaco, potrebbe dirsi per Venezia o Trieste». E allora? «È il momento di venderci in sede Ue le nostre banchine».

Il Paese, è il ragionamento di Costa, dovrebbe far vedere all’Europa che sa fare sistema per aumentare la sua capacità di attirare nuove merci, che sa portare avanti le infrastrutture trans-europee già previste e che magari sa fare pressione per l’allungamento del corridoio Adriatico-Baltico sino a Bologna. Questo è quello che andrà a dire lo stesso Costa, a Bruxelles, nei prossimi giorni. «Sì, ma questa partita si gioca a livello di governi».
Anche i porti, però, non devono stare a guardare. «Venezia si sta dotando di un retroporto di 90 ettari, stiamo lavorando per convivere col Mose, per spostare le petroliere fuori dalla laguna, ..». A proposito: stiamo parlando di quelle petroliere che secondo Arrigo Cipriani, il patron dell’Harry’s Bar, favoriscono l’acqua alta in città? «Arrigo è un amico. Se mi parla di cucina, lo seguo. Se si mette a fare l’idrologo no».

Fabio Pozzo