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 2009  dicembre 13 Domenica calendario

A Copenaghen le manifestazio­ni, gli arresti, gli incidenti han­no fatto passare in secondo pia­no, per un giorno, i contenuti della discussione in corso intor­no al clima

A Copenaghen le manifestazio­ni, gli arresti, gli incidenti han­no fatto passare in secondo pia­no, per un giorno, i contenuti della discussione in corso intor­no al clima. I lavori oggi sono sospesi e si concluderanno ve­nerdì prossimo con l’arrivo del presidente degli Stati Uniti, che tutti considerano l’uomo-chia­ve del problema. Barack Oba­ma vuole varare una legge che imponga un taglio nell’emissio­ne dei gas serra, ma questa leg­ge è ferma al Senato. D’altra parte, se gli americani non si mettono alla testa del movimen­to ambientalista è difficile che gli altri accettino sacrifici e limi­ti allo sviluppo. Gli Usa sono i maggiori inquinatori del mon­do e, come hanno detto l’altro giorno i delegati dei Paesi afri­cani, devono cambiare il modo di produrre e quello di consuma­re: altrimenti qualunque docu­mento sottoscritto, qualunque impegno annunciato resterà carta straccia.

Parliamo degli incidenti.
Ma niente. Copenhagen era nervosa dal primo giorno, co­me abbiamo detto, con piccoli gruppi di ambientalisti a fare sit in nei luoghi-chiave della Conferenza, inalberando car­telli e scrivendo slogan sul sel­ciato. Ieri, alle due del pome­riggio, è partito un corteo dal Parlamento, davanti a Chri­stiansborg Castle, ha percorso sei chilometri per attraversare la città e raggiungere il Bella Center, la grande struttura do­ve si svolgono i lavori della Conferenza. La manifestazio­ne era organizzata da 515 asso­ciazioni appartenenti a 67 Pae­si diversi. Alla fine c’è stata una veglia illuminata da can­dele. Ha parlato il premio No­bel Desmond Tutu. Gli am­bientalisti in marcia reclama­vano dai partecipanti alla Con­ferenza un accordo forte per combattere il riscaldamento globale. Si tratta di persone as­solutamente convinte che il ri­scaldamento globale sia provo­cato dall’attività dell’uomo. Un punto, ci tengo a ricordar­lo, molto controverso e ancora più dubbio da quando si è sco­perto un fitto giro di e-mail nel­le quali gli scienziati che si di­cono convinti dell’origine an­tropica del riscaldamento si mettevano d’accordo sulle mo­difiche da apportare ai dati di­sponibili perché le loro tesi non venissero messe in discus­sione. Di tutto questo a Cope­naghen non s’è fatta natural­mente parola. In ogni caso: du­rante la manifestazione, pacifi­ca al 90%, un gruppo di 300 black-bloc che s’era sistemato nella coda del serpentone ha circondato le camionette della polizia. Ne è nata una serie di scontri, il cui bilancio è: 600 arresti e due feriti, un agente colpito da un pezzo di pavé e un dimostrante che s’è fatto male da solo con un petardo che tentava di far esplodere.

Scontri non gravi, quindi.
No, anche se fanno sempre im­pressione. Manifestazioni, cor­tei, incidenti si erano verificati anche nei giorni precedenti. I fermi preventivi messi in atto fino a venerdì sono stati una settantina: i contestatori sono stati fermati prima che facesse­ro alcunché e tenuti per 12 ore segregati in strutture di deten­zione create apposta. Hanno fermato anche 7-8 italiani e tra questi il nipote del sindaco di Venezia, Tommaso Caccia­ri.

Ma i black-bloc che vogliono? E perché si chiamano così?
Vestono di nero e gridano con­tro le multinazionali. Non c’è apparentemente nessuna stra­tegia: testimoniano, attraver­so la rabbia, il disagio di una certa piccola borghesia mon­diale che la crisi schiaccia im­placabilmente. Erano anche ad Atene a far fuoco e fiamme in un contesto problematico completamente diverso da quello di Copenaghen. Come gli ultrà del calcio, hanno un solo, vero nemico: i cops , cioè i poliziotti. Il loro bersaglio pre­ferito è naturalmente McDo­nald’s, simbolo assoluto della globalizzazione. A Copena­ghen, McDonald’s è stato pro­tetto come se si trattasse di San Pietro. Hanno fatto sape­re che oggi tenteranno di bloc­care il porto. Ma forse sono già un fenomeno in declino.

Per il resto, la conferenza che cosa ha deciso?
Gli europei metteranno a di­sposizione dei Paesi poveri 7,2 miliardi di euro in tre anni. I Paesi poveri ne chiedevano al­meno 30. In ogni caso: con i sette miliardi, questi Paesi do­vrebbero ripulire i loro cieli. I 27 Stati dell’Unione europea si sono poi detti disponibili a ta­gliare entro il 2020 del 30% le loro emissioni di gas serra in modo da limitare a 1,5-2 gradi l’aumento massimo delle tem­perature. Tutto questo è conte­nuto in due documenti, per il resto molto vaghi, che costitui­scono la traccia da sottoporre ai ministri dei vari Paesi che stanno arrivano in Danimar­ca.

Dall’Italia chi viene?
Stefania Prestigiacomo, natu­ralmente. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 13/12/2009]