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 2010  novembre 14 Domenica calendario

Il mondo è in festa perché Aung San Suu Kyi – che chiameremo d’ora in poi semplicemente Aung – è tornata libera

Il mondo è in festa perché Aung San Suu Kyi – che chiameremo d’ora in poi semplicemente Aung – è tornata libera.

Devo chiederle subito di chi stiamo parlando…
È un’eroina birmana, tenuta prigioniera a Rangoon ormai da vent’anni. Lei ricorderà forse le manifestazioni del 2007, quando la popolazione di quel paese scese in piazza per protestare con un improvviso, insostenibile aumento dei prezzi: alla testa di quella rivolta, soffocata come sempre nel sangue, c’erano i monaci buddisti, cosa che fece un’enorme impressione in tutto il mondo. Un certo giorno i monaci andarono in corteo fino al numero 54 di University Avenue, una piccola casa su due piani affacciata sul lago Inya. Dentro li aspettava Aung, che aveva allora 62 anni, una donna minuta, col volto scavato. Lei, sfidando il divieto delle autorità, uscì di casa e recitò i Sutra buddisti assieme a quel migliaio di religiosi e di cittadini qualunque. Ieri, un’altra folla la aspettava, fin dalle prime ore del mattino. Alle 5.30, mentre stava sorgendo il sole, erano infatti arrivati gli ufficiali del governo. La polizia, spostate le barriere che, sulla strada, impedivano l’accesso a chiunque, li ha fatti entrare. I poliziotti hanno letto ad Aung l’ordine di scarcerazione e se ne sono andati. Lei, una maglietta rosa e un fazzoletto appallottolato tra le mani, s’è infilato un fiore tra i capelli e s’è affacciata sulla soglia di casa, senza ancora uscire ancora in strada. Pronuncerà un vero discorso oggi. Ieri s’è limitata a dire: «Dobbiamo lavorare insieme, all’unisono, per raggiungere il nostro obiettivo».

Non rischia a parlare in pubblico?
Rischia, perché la giunta le ha ordinato di star zitta. Aung ha già detto che non si adeguerà a questa imposizione. È possibile che i militari decidano di colpirla di nuovo. Il mondo però ha già lanciato l’allarme. Sarkozy ha ammonito le autorità birmane «contro tutti i possibili ostacoli alla libertà di movimento e di espressione che costituirebbero una nuova inaccettabile negazione dei suoi diritti». Discorsi dello stesso tenore dalle altre capitali. La nostra Farnesina, come Angela Merkel, ha anche ricordato i duemila prigionieri politici che sono rinchiusi nelle carceri di quel paese. Non si deve credere però che la pressione internazionale spaventi troppo il regime.

Come mai?
La Birmiania, anzi il Myanmar secondo la denominazione scelta dalla giunta, gode della protezione cinese e russa. Quando le prepotenze birmane vengono messe all’ordine del giorno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la Cina e la Russia adoperano il loro diritto di veto a qualunque sanzione. Pechino e Mosca non voglion sentir condanne per chi spara sulla folla. E poi i cinesi si riforniscono nel Myanmar di petrolio e di gas, e sanno che, per arrivare nell’Oceano Indiano, hanno bisogno dei porti birmani. Nel 2007, la Cina era sensibile all’opinione internazionale per via delle Olimpiadi. Adesso non c’è nemmeno questo freno.

Qual è la storia di questa donna?
È nata a Rangoon il 19 giugno 1945. Il padre era un generale comunista-nazionalista: trattò con gli inglesi l’indipendenza del Paese e subito dopo venne ucciso dai suoi avversari politici. Aung aveva due anni. La madre si mise a far politica, come capita spesso alle grandi vedove orientali (Indira Gandhi, Benazir Bhutto). Aung, una volta cresciuta, venne mandata a studiare in giro per il mondo. Laurea a Oxford in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia, specializzazione a New York. Entrò alle Nazioni Unite e qui conobbe il marito Michael Aris, un inglese studioso di cultura tibetana. Andarono a vivere a Londra. Ma nel 1988 la madre s’ammalò e Aung tornò in Birmania per accudirla. Si mise in politica anche lei e fondò la Lega Nazionale per la Democrazia, basata sul principio della non-violenza. Aung infatti è una discepola del Mahatma Gandhi. La arrestarono subito, proponendole di tornare in Inghilterra e vietandole, se avesse accettato, di rimetter piede in Birmania. Aung rifiutò e alle elezioni del 1990 la sua Lega Nazionale prese l’82 per cento dei voti. La giunta annullò le elezioni e la tenne agli arresti domiciliari. L’anno dopo le diedero il Nobel per la Pace. Da allora a oggi è stata praticamente sempre dentro. Il marito le è morto di cancro nel ’99: non le hanno permesso di andare a Londra a vederlo un’ultima volta. Ha due figli maschi.

Con che scusa la tenevano prigioniera adesso?
L’anno scorso un tizio attraversò il lago a nuoto e le entrò in casa, dicendo d’essere un mormone che voleva convertirla. Questo fatto bastò alla giunta per condannarla ad altri 18 mesi di prigionia. In questo modo le hanno impedito di partecipare alle elezioni-farsa di qualche giorno fa. Non creda: per Aung si apre adesso un periodo molto pericoloso. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 14/11/2010]