Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 22 Sabato calendario

Ieri il presidente cinese Hu Jintao ha concluso la sua visita negli Stati Uniti…• Ho già capito che oggi ci tocca ascoltare una lezione noiosa e con discorsi difficili, perciò la fermo subito e le domando: nella partita Usa contro Cina chi sta vincendo?Io assegnerei per ora un punteggio di parità

Ieri il presidente cinese Hu Jintao ha concluso la sua visita negli Stati Uniti…

Ho già capito che oggi ci tocca ascoltare una lezione noiosa e con discorsi difficili, perciò la fermo subito e le domando: nella partita Usa contro Cina chi sta vincendo?
Io assegnerei per ora un punteggio di parità. Gli stessi giocatori non vogliono prevalere uno sull’altro. Per esempio la Cina ha nelle casse tanti dollari (titoli per 850 miliardi e un altro paio di miliardi in banconote) e se gli Stati Uniti entrassero definitivamente in crisi questo tesoro perderebbe valore e Pechino non avrebbe più un mercato al quale vendere le sue merci. Quindi la Cina ha un interesse concreto a una salute non troppo cagionevole dell’impero americano. A loro volta, gli americani hanno bisogno di qualcuno che li finanzi – qualcuno cioè che gli presti i soldi – e una Cina benestante è in questo momento un’ancora di salvezza. Ecco come si determina una prima situazione di pareggio. Il popolo americano vive poi meglio del popolo cinese e questo segna un punto a vantaggio degli Stati Uniti. Però l’America è in una fase di declino, mentre la Cina è in crescita tumultuosa, più o meno del 10 per cento l’anno. Quindi, pareggio.

E se si facessero la guerra, chi vincerebbe?
Questa domanda non va neanche pensata. Gli americani sono i maggiori compratori d’armi, quasi la metà di tutto il traffico è generato da loro. Un tempo si diceva che i due paesi si sarebbero affrontati militarmente intorno al 2015. Questa data, molto vicina, oggi non sembra invece così spaventosa. Un paese che arricchisce ha in genere meno voglia di far la guerra. La guerra è nemica del business. Nessuno è così pacifista come un finanziere.

Pure, mi sembra impossibile che tra i due non ci sia almeno concorrenza.
Una guerra c’è, e riguarda il valore della moneta cinese, che si chiama yuan o renminbi. Pechino tiene artificialmente basso il valore dello yuan e questo agli americani e agli europei non sta bene.

Perché?
Se una moneta viene venduta a poco, anche le merci rappresentate da quella moneta sono vendute a poco. Noi lo sappiamo bene: quando potevamo manovrare con la lira, svalutavamo (cioè toglievamo valore alla nostra moneta) per vendere di più all’estero, cioè per esportare. I cinesi fanno lo stesso. La loro moneta non si può comprare nelle borse del mondo (a parte Hong Kong da qualche mese e Wall Street da una settimana, dove però, escluse le aziende, le operazioni sono limitate al cambio massimo di 4000 dollari), così il prezzo dello yuan è fissato artificialmente a Pechino, artificialmente perché non obbedisce al normale ciclo di domanda e offerta. Se si potessero comprare yuan liberamente, la moneta cinese sarebbe molto richiesta, proprio perché è notoriamente sottovalutata del 20-40%. Ma, rivalutandosi la moneta cinese, crescerebbero i prezzi delle merci cinesi, cioè il Paese esporterebbe di meno, quindi produrrebbe di meno, quindi si riempirebbe di disoccupati. Sto, naturalmente, schematizzando.

Che cosa ci rimettono, con lo yuan forte, America ed Europa?
La concorrenza cinese è troppo avvantaggiata, lo yuan debole tiene alto il valore di dollaro e euro, quindi americani ed europei esportano meno di quello che potrebbero. Esportano meno soprattutto in Cina, perché il valore forte delle loro valute tiene alti, per loro, i prezzi delle merci americane ed europee. Merci che, con lo yuan così debole, i cinesi non si possono permettere. Obama ha chiesto a Hu Jintao, per l’ennesima volta, di liberare lo yuan o almeno di fissare un prezzo più alto per la sua valuta. Hu Jintao ha risposto che non è ancora il momento. Oggi quasi tutte le transazioni internazionali avvengono in dollari, il che dà agli Stati Uniti un grande potere. Pechino vuole che questo predominio tramonti e che in futuro si facciano affari, se non in yuan, almeno con una valuta nuova, risultato della media tra il valore di mercato dello yuan, quello dell’euro e quello del dollaro. Che armi ha Obama per persuadere il presidente cinese a far diversamente? Due armi, sostanzialmente: battere il chiodo dei diritti civili, calpestati in Cina. E la tecnologia americana, di cui Pechino, quando non riesce a copiarla, è affamata. Sui diritti civili Hu Jintao ha risposto che sì, molti passi sono ancora da compiere, ma questo passaggio del suo discorso è stato tagliato in Cina. Sulle tecnologie si tratta di negoziare e lo yuan basso è utile. Quando un’azienda si trasferisce laggiù (e lo yuan basso è attraente per delocalizzare), è costretta a rivelare tutti i suoi segreti, se no non la fanno lavorare. Pareggio, quindi, ma con i cinesi che appaiono tanto forti: l’ultima tappa di Hu Jintao è stata a Chicago. Dietro al presidente, c’erano 500 imprenditori cinesi pronti a investire negli Stati Uniti. Non troppi anni fa accadeva esattamente il contrario. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 22/1/2011]