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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

Da ieri Salvatore Cuffaro, 52 anni, ex presidente della Regione Sicilia, è in carcere a Rebibbia. Uno spettacolo che si vede di rado: un potente, o un ex potente, che affronta tutti i gradi di giudizio, viene condannato e si consegna poi spontaneamente per evitare che lo fotografino in manette

Da ieri Salvatore Cuffaro, 52 anni, ex presidente della Regione Sicilia, è in carcere a Rebibbia. Uno spettacolo che si vede di rado: un potente, o un ex potente, che affronta tutti i gradi di giudizio, viene condannato e si consegna poi spontaneamente per evitare che lo fotografino in manette. In questo momento Cuffaro era senatore, eletto in Sicilia con l’Udc e poi passato al Pid (Popolari di Italia Domani). Decade automaticamente dal seggio e viene sostituito da Maria Pia Castiglione, 55 anni, anche lei candidata dall’Udc e poi confluita in questo Pid, neurologo a Trapani, Pantelleria e Castellammare del Golfo. Saputa la notizia, la neosenatrice ha commentato: «Provo per Totò un grande dispiacere. Per me resta un amico dotato di grande umanità, disponibilità e generosità. Tutti gli dobbiamo tanto».

Totò?
Il nomignolo con cui l’hanno sempre apostrofato tutti. Gian Antonio Stella lo chiama “Totò Vasa Vasa”, per il fatto che, alla siciliana, è prodigo di baci sulle guance di amici e sodali politici. Due anni fa, alla conclusione del primo grado di giudizio, gli diedero cinque anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ma il favoreggiamento era semplice, cioè senza l’aggravante mafiosa, e Totò, per questo solo fatto, festeggiò con uan gran guantiera di cannoli siciliani. Gli sembrava che, tolta l’aggravante di aver favorito non un delinquente qualunque ma la mafia in quanto tale, non ci fosse da temere: gli anni eventuali sarebbero stati pochi, la prescrizione assai probabile. Invece… La Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado (dove l’aggravante mafiosa c’è), Cuffaro s’è preso sette anni e ha dovuto farsi rinchiudere. Tuttavia una certa spettacolarità alla siciliana, per dir così, non è mancata, neanche in questo epilogo. Mentre la Cassazione decideva, Totò ha lasciato che lo fotografassero in chiesa, a Santa Maria supra Minerva (vicino al Pantheon), inginocchiato a pregare la Madonna. Arrivata la mazzata, ha rilasciato una dichiarazione assai pia: «Adesso affronterò la pena come è giusto che sia, questo è un insegnamento che lascio ai miei figli. Questa prova ha rafforzato in me la fiducia nella giustizia e la fede. Se ho saputo resistere in questi anni difficili è soprattutto perché ho avuto tanta fede e la protezione della Madonna». Del resto, l’uomo ha sempre fatto mostra di grande devozione, ha asceso in ginocchio più volte la scala santa (sempre lasciando che lo fotografassero), è andato in pellegrinaggio a Fatima, Lourdes, Medjugorie. Ha frequentato l’asilo dalle Collegine, e le altre scuole dai Salesiani. È medico anche lui, radiologo, sposato con Giacoma Chiarelli (altro medico), due figli

Ma alla fine per che cosa è stato condannato?
Il boss di Brancaccio Giuseppe Gattadauro (anche questo è un medico, chirurgo al Civico di Palermo) stava ancora in galera, ma tra poco sarebbe uscito. I carabinieri del Ros andarono a piazzargli delle microspie nella sua casa di via de Cosmi. Era il 2001. Gattadauro, quando tornò libero, prese misure severissime per evitare che gli infilassero qualche cimice in salotto. Ma gliene avevano già messe otto, opera del maresciallo Giuseppe Riolo. Per un po’ gli inquirenti ascoltarono indisturbati. Poi il collegamento finì. Come mai? Gattadauro era stato informato e la notizia gli era arrivata perché lo stesso Riolo l’aveva detto al maresciallo Antonio Borzacchelli che lo aveva detto a Cuffaro che lo aveva detto all’assessore Miceli (Udc) il quale finalmente aveva avvertio Gattadauro. Cuffaro sapeva o no di aver aiutato la mafia, con quella confidenza? Su questo distinguo si sono giocati i tre gradi del giudizio. Davanti alla Cassazione, l’avvocato dell’accusa, Giovanni Galati, aveva sostenuto sorprendentemente di no, chiedendo che la pena gli venisse ridotta. La seconda sezione penale della Cassazione (presidente Antonio Esposito) non gli ha creduto e ha confermato i sette anni.

Imbarazzi dei politici, per esempio dell’Udc?
Casini e Follini hanno rilasciato una dichiarazione molto compunta: «Umanamente dispiaciuti, non rinneghiamo tanti anni di amicizia» eccetera. Del resto gli udc siciliani hanno mollato quasi tutti Casini per fare questo Pid.

I berlusconiani?
«Ci ha convinto più la Procura della Cassazione che il collegio giudicante». Così Cicchitto e Quagliarello. Neanche loro negano i tanti anni di amicizia.

Secondo lei i sette anni se li farà tutti?
È nei guai in altre due storie. Un processo per concorso esterno in associazione mafiosa, dove i pm chiedono una condanna a dieci anni (la mafia lo avrebbe aiutato negli anni Novanta). Poi la Corte dei Conti contesta a lui e a Lombardo di aver assunto 23 giornalisti in Regione con la qualifica di redattore capo, buttando dalla finestra quattro milioni. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 23/1/2011]