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 2005  agosto 22 Lunedì calendario

La striscia di Gaza

• La “striscia di Gaza” è un piccolo territorio intorno alla città di Gaza, attaccato al Sinai e affacciato sul Mediterraneo. Una volta apparteneva all’Egitto. Gli israeliani lo occuparono nel 1967, quando si difesero vittoriosamente dall’attacco degli arabi (guerra dei sei giorni). Gli israeliani hanno sempre sostenuto che la striscia di Gaza era indispensabile alla loro sicurezza: era cioè una zona strategicamente decisiva per scoraggiare altri attacchi simili a quello del 1967.

• A partire dal 1980, il governo ha fortemente incoraggiato le famiglie israeliane a trasferirsi a Gaza. Venivano promessi sgravi fiscali, sovvenzioni e aiuti di ogni genere. Chi accettava partiva con in testa un’idea forte: avrebbe contribuito alla nascita del Grande Israele, una nazione giusta e santa, di fatto governata dai rabbini, nella quale si sarebbero create le condizioni per la venuta del Messia.

• L’idea dei coloni fu di Ariel Sharon, generale celebre per ferocia, accusato (forse a torto) di essere responsabile politico del massacro di Sabra e Chatila, ministro nel governo di Begin (estrema destra), quando la politica dei coloni ebbe inizio. In poche parole l’idea di Sharon a quell’epoca era questa: non voleva lo Stato palestinese, considerava Arafat un nemico ed era pronto a trasformare buona parte dei territori occupati in una fascia di sicurezza popolata da insediamenti ebraici e soggetta alla sovranità militare di Israele.

• Adesso che ha 77 anni ed è primo ministro. Sharon ha maturato un’opinione diversa: Israele non è più un’isola circondata da nemici che vogliono distruggerla, ma l’avamposto della democrazia in Occidente (questo soprattutto dopo la guerra di Bush in Iraq). Dei coloni non c’è più bisogno, essi anzi rappresentano un ostacolo sulla via della pace. Inoltre: nella striscia di Gaza vivono un milione e 400 mila palestinesi che tra vent’anni saranno quasi tre milioni (le palestinesi viaggiano alla media di sei figli a testa). Gli israeliani di Gaza sono in tutto poco meno di novemila. I palestinesi sono poveri e, per un terzo, vivono in campi profughi. Al 60 per cento sono disoccupati. La metà ha meno di 14 anni. Come governare una situazione simile? Da tutti i punti di vista, è meglio andarsene. Lo sgombero è cominciato la settimana scorsa, il giorno di Ferragosto.

• Nella striscia di Gaza c’erano 21 insediamenti che ospitavano 8518 coloni. L’insediamento più piccolo, Kfar Yam, constava di appena dieci persone. Il più grande, Neve Dekalim, di 2700. Neve Dekalim era anche l’insediamento più duro: qui stavano quelli che ci credevano davvero e che non intendevano andarsene. I coloni hanno avuto due giorni di tempo per traslocare volontariamente e ricevere quindi, come risarcimento, soldi e una casa altrove. Chi allo scadere delle 48 ore si fosse trovato ancora lì, sarebbe stato sgombrato a forza e non avrebbe avuto indennizzi. Questo ultimatum scadeva mercoledì 17 agosto. La sera del 15, Sharon ha parlato alla tv: “Non possiamo – ha detto agli israeliani che lo ascoltavano sbigottiti – tenere la Striscia per sempre. Vi abitano oltre un milione di palestinesi e il loro numero raddoppia ad ogni generazione. Vivono in campi profughi sovraffollati, in condizioni di povertà e disperazione, in focolai di crescente odio senza alcuna speranza all’orizzonte. Il nostro è un passo che esprime forza, non debolezza”. E ai palestinesi: “I palestinesi recano ora il peso della prova. Il mondo è in attesa della loro risposta: una mano tesa alla pace o il fuoco della guerra”. E ha concluso: ”Cittadini di Israele, la responsabilità del futuro di Israele è mia”. Ci sono state resistenze, e i soldati in qualche caso hanno dovuto portare via i coloni a forza. Una donna s’è data fuoco per protesta (non è morta) e in Cisgiordania un israeliano, furibondo per gli sgomberi, ha ucciso per la rabbia tre arabi. Domenica 21 agosto lo sgombero era praticamente terminato.

• Il 25 gennaio si svolgeranno le elezioni in Palestina. Il partito dei terroristi, cioè Hamas, ha almeno il 33 per cento dei consensi e potrebbe aumentarli se nei prossimi mesi non si avvierà una convincente politica di negoziati. Il presidente palestinese, Abu Abbas, ha apprezzato lo sgombero, ammesso che è un passo importante sulla via della pace, ma ha chiesto che Gaza non resti isolata, che l’aeroporto e il porto funzionino, che sia funzionante la strada di collegamento (e il commercio) con Israele e la Cisgiordania. L’organizzazione terroristica Hamas, che attribuisce a se stessa il merito di aver liberato Gaza (“se in tutti questi anni non avessimo combattuto, non se ne sarebbero andati”), ha detto che non deporrà affatto le armi e che adesso Israele deve sloggiare dai territori occupati in Cisgiordania. Da questo orecchio, non sembra che Sharon ci senta. Il consenso intorno a lui è sceso parecchio. In autunno probabilmente il paese tornerà al voto ed è possibile che Sharon perda.

• Un gruppo di ricchi magnati americani ha messo insieme 14 milioni di dollari per acquistare il sistema di irrigazione di Gaza e regalarlo al palestinesi. Senza quel sistema di irrigazione, i palestinesi non riuscirebbero a far sopravvivere le coltivazioni (questa l’ho tagliata prima dell’invio perché non c’era spazio). [Giorgio Dell’Arti]