26 giugno 1965
Per lo spionaggio sovietico l’Italia è il paese di bengodi
Quanti sono, a Mosca e a Praga, a Varsavia e a Budapest, i «comunisti»
italiani che lavorano per il nostro controspionaggio? Difficile dirlo con
precisione. Ma ce ne sono; e molti sono i giovani che il Sifar (Servizio
informazioni forze armate) ha «piantato» da molti anni nel Pci e che hanno poi
chiesto di trasferirsi – come lavoratori o come studenti – in un Paese di oltre
cortina per raccogliere informazioni da inviare a Roma. Si tratta, in
particolar modo, di notizie di carattere politico. Lo spionaggio contro
l’Italia si interessa più degli obiettivi politici, che non di quelli militari
e industriali. Nel campo militare l’Italia non è di straordinario interesse. Al
più, le spie vengono in Italia a cercare notizie sulla Nato. E nel campo
industriale gli agenti segreti riescono spesso a sapere tutto quello che
vogliono grazie all’entusiastica collaborazione degli operai e dei tecnici che
condividono le loro ideologie politiche. Invece, sotto l’aspetto politico,
l’Italia è particolarmente interessante per lo spionaggio, essendo il solo
Paese europeo in cui esista la possibilità di un pacifico rovesciamento di
regime. Ecco perché sono tanto importanti le informazioni sulla vita privata di
un deputato, sulla situazione finanziaria di un industriale, sulle malefatte di
un dirigente economico e tutte le altre notizie che, sapientemente sfruttate,
possono strappare voti ai partiti democratici o possono indurre una persona a
esercitare la sua influenza a favore di un determinato movimento politico. La
raccolta delle notizie viene estesa a tutte le attività.
Così esiste – e non soltanto in Italia – uno spionaggio «numismatico».
Il Paese straniero che avesse la possibilità di riprodurre fedelmente le nostre
banconote potrebbe provocare un’inflazione – con tutte le sue conseguenze, non
soltanto economiche – stampando carta moneta falsa nel giorno «X». In questa
difficile battaglia il Sifar gode il vantaggio di aver accentrato in un unico
organo le attività offensive e difensive, evitando i conflitti di competenza (e
le rivalità) fra i servizi di spionaggio, di controspionaggio e di polizia, che
in altri Paesi democratici fanno il gioco degli agenti sovietici. E poi in
Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti gli uomini del controspionaggio non
hanno il diritto di arrestare o incriminare una spia ma devono ricorrere alla
collaborazione della polizia, mentre gli uomini del Sifar possono svolgere da
soli ogni attività offensiva e difensiva e, quando identificano un agente
nemico, possono liberamente decidere se sia opportuno arrestarlo [...]Tattica
monotona
Il Sifar deve lottare contro decine di migliaia di persone che
volontariamente si mettono al servizio dello straniero [...] Ma, per sua
fortuna, i dirigenti dello spionaggio sovietico danno prova – almeno in Italia
– di mancanza di fantasia. Le loro trame operative sono sempre uguali e vengono
pedissequamente imitate dai servizi di spionaggio degli altri paesi comunisti,
persino nella scelta delle parole d’ordine e delle frasi convenzionali (così la
parola tainik indica per tutti i
servizi comunisti il luogo dove viene nascosto un messaggio). Inoltre gli
agenti comunisti mancano di iniziativa personale, non compiono mai un’azione
diversa da quella prescritta, non sanno sfruttare le occasioni favorevoli. La
monotonia della loro tattica operativa si spiega con il terrore per le
conseguenze di un insuccesso che sia stato provocato da un eccesso di zelo.
Così un funzionario di un Paese comunista, scoperto di recente da un ufficiale
del Sifar, implorò di non essere denunciato ai suoi superiori: «Altrimenti
sarei rovinato, mi richiamerebbero a casa...», andava ripetendo. Questo terrore
rende anche difficile l’assunzione di nuove spie, perché della loro fedeltà è
considerata responsabile la persona che le assolda e che preferisce servirsi
solo di uomini fidati. «In Italia lo spionaggio è un circuito chiuso,
s’incontrano sempre le stesse persone», ho sentito dire da un nostro tecnico
non senza soddisfazione.
La paura dell’insuccesso spinge le spie ad agire in zone non molto
estese, spesso in un solo quartiere di cui conoscono tutte le strade e tutti i
palazzi a doppio ingresso, anche perché soffrono del «complesso del
pedinamento», credono di vedere un uomo del Sifar in ogni persona che
incontrano. In particolar modo sembrano diffidare dei preti, quantunque non mi
risulti (ma neanche vorrei escluderlo) che gli uomini del Sifar abbiano
indossato qualche volta la sottana o il saio per pedinare una spia.
Ho parlato della prudenza adoperata dalle spie sovietiche quando devono
assoldare nuovi uomini in Italia. Di metodi più spicciativi si sono serviti
invece i dirigenti dello spionaggio sovietico nei confronti di alcuni nostri
turisti e di marinai delle nostre navi mercantili minacciati dapprima di
arresto a causa di qualche affaruccio di borsa nera o per un presunto
adulterio, dopo averli attirati in un tranello con la complicità di una ragazza
– com’è capitato a Odessa, dove più volte i nostri marinai sono stati esposti a
«ricatti sessuali» - e poi indotti a lavorare in Italia per lo spionaggio
comunista.
Non tutti mantengono fede all’impegno. Una volta usciti dal territorio
sovietico, marinaie turisti spesso trovano
il coraggio di presentarsi alla polizia, e capita talvolta che queste spie
«recuperate» passino al servizio del Sifar [...] Così il Sifar, avendo appreso
che i sovietici stavano cercando di appurare la formula di una nuova lega
metallica adoperata per le fiancate delle nostre navi da guerra, incaricò un
gruppo di esperti di produrre un’altra lega – anche ottima, altrimenti non
sarebbe stato possibile ingannare i tecnici russi – la cui formula venne poi
fatta arrivarea Mosca per mezzo di una
spia «recuperata». E un’altra spia «recuperata» fornì ai sovietici i disegni di
una mitragliatrice di nuovo modello. Disegni, stavolta, autentici. Ma il
ministero della Difesa non aveva creduto opportuno adottare la nuova arma,
contrariamente a quanto furono indotti a credere gli agenti dello spionaggio
russo.
Altre spie vengono lasciate libere di lavorare, perché se venissero
arrestate bisognerebbe poi mettersi alla ricerca degli uomini che, prima o poi,
prenderebbero il loro posto. E ciò spiega perché il Sifar non abbia fatto
chiudere a Roma due agenzie di affari che servono da copertura a un servizio di
spionaggio. Si tratta di «residenze illegali» che non possono arrecare grandi
danni; e anche in questo caso il Sifar si preoccupa di «coltivarle», facendo in
modo che riescano a procurarsi una gran copia di notizie: o false o di scarsa
importanza.
[...] A un dirigente del Sifar ho chiesto quali siano i Paesi nei quali
è più difficile reperire notizie: «L’Albania, la Cina, l’Unione Sovietica, in
ordine decrescente. “Piantare” una spia a Mosca non è impossibile. Ma trovare
un confidente a Tirana è un compito veramente arduo a causa del “vuoto” creato
intorno agli stranieri», ha risposto. E parlava con un filo di voce, quantunque
ci trovassimo in un ufficio dove sicuramente nessuno poteva ascoltarci. «Ma la
voce – mi ha spiegato – produce onde che “rimbalzano” sui vetri delle finestre
e che, grazie a uno speciale apparecchio, potrebbero essere captate da una
persona che si trovasse in ascolto dall’altra parte della strada». (Di tutti
gli uomini dello spionaggio da me incontrati durante il viaggio nel regno degli
«007», quest’ufficiale dei carabinieri è il solo che ricorderebbe James Bond
alle donne, ma un James Bond più raffinato, con occhi alla Rasputin,
mefistofelico).Le uova a
sorpresa
Per lo spionaggio, l’Italia è uno dei Paesi più «scoperti». Sia a causa
della collaborazione offerta ai russi da tante migliaia di persone, sia perché
il nostro controspionaggio prima di agire contro gli agenti segreti ha bisogno
di un’autorizzazione che talvolta viene negata per ragioni di opportunità
politica (e una volta che fu necessario arrestare d’urgenza un nostro
ufficiale, sorpreso in flagrante mentre consegnava un documento a un agente di
una potenza straniera, se ne lamentò un ministro che con questa potenza stava
tentando un’azione di riavvicinamento) sia grazie alla generosità con cui
concediamo a studenti, a scienziati, a letterati provenienti da Paesi di
oltrecortina, di stabilirsi in Italia «per ragioni di lavoro». Cosa vengano a
studiare – alcuni di essi, almeno – ci può esser rivelato dal contenuto di
alcuni pacchi-dono indirizzati a Praga e a Varsavia ai quali il Sifar ha voluto
dare uno sguardo prima che varcassero la frontiera. Contenevano microfilm di
carattere militare, economico, e soprattutto politico. I microfilm erano
nascosti all’interno di mandorle zuccherate, di cioccolatini, di caramelle,
persino di chicchi di caffè (aperti, svuotati e nuovamente chiusi con uno
speciale cemento): tante piccole uova pasquali a sorpresa, che sono poi giunte
regolarmente a destinazione, senza eccessivo ritardo. E soltanto con qualche
leggera modifica nel regalino nascosto all’interno.
Enrico Altavilla
[Corriere della Sera 27/6/1965]