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 2017  gennaio 06 Venerdì calendario

SESSANTA GIORNI PER SALVARE ALITALIA. IL VERTICE IN ROTTA DI COLLISIONE CON I SINDACATI SUL PIANO DI RISANAMENTO LACRIME E SANGUE

Due mesi di ossigeno grazie ai 470 milioni di euro tra liquidità e risorse destinate al rafforzamento patrimoniale concesse prima di Natale da Etihad e dai soci italiani, a partire dalle banche azioniste ovvero Intesa e Unicredit. Due mesi di tempo che dovranno servire per mettere a punto il nuovo piano industriale della compagnia, che a fine 2016 presenta un bilancio ancora in forte perdita, ed in parallelo anche a definire il nuovo contratto nazionale del comparto volo scaduto a fine anno. I prossimi sessanta giorni, insomma, sono decisivi per il futuro di Alitalia, per l’ennesima volta alle prese con una pesante crisi.
Esuberi e flotta ridotta
Nell’aria ormai da settimane c’è l’ennesimo piano di ristrutturazione che ovviamente allarma non poco i sindacati ed impensierisce il governo. Sullo sfondo la possibilità che la nostra compagnia di bandiera venga ulteriormente ridimensionata se non addirittura smembrata in due parti, da un lato una società per le attività low cost e dall’altro una per le attività sulla lunga distanza. Si parla di 2 mila forse addirittura 4 mila esuberi (su un totale di 11 mila occupati), di altri aerei messi a terra e di esternalizzazioni, come spia della necessità di recuperare ulteriormente produttività e ridurre i costi dopo i tagli già molto pesanti attuati nel 2014. Se il management riuscirà a trovare la quadra a marzo i soci immetteranno altre risorse: Etihad che è socia al 49% assicurerà 275 milioni di prestito, mentre le banche ne garantiranno 175 convertendone altri 140 in capitale. Alla fine del processo non si esclude nemmeno un cambio del management con l’attuale ad, l’australiano Cramer Ball, espressione del socio estero, destinato ad essere sostituito da un manager italiano gradito alle banche. Ipotesi che però ancora ieri il presidente Luca Montezemolo ha escluso definendo queste «notizie prive di fondamento che non fanno bene all’azienda in momenti come questi».
La partita tra i soci
Vista con gli occhi dei sindacati la partita che i soci di Alitalia stanno giocando in questa fase è molto particolare. C’è Etihad che è socia al 49%, e che in virtù delle norme europee non può salire oltre, e che dal 2014 a oggi vestendo i panni del partner industriale non è riuscita ad imprimere la svolta che ci si attendeva. E poi ci sono Intesa Sanpaolo e Unicredit, che controllano rispettivamente il 20,59% ed il 12,99% delle quote sul 51% in mani italiane (Midco/Alitalia Cai), e che assieme a Mps e Pop Sondrio sono pure le principali creditrici del gruppo. In pratica, si fa notare, giocano due ruoli in commedia.
Il mezzo miliardo scarso arrivato nei giorni scorsi nelle casse delle compagnia è servito a pagare stipendi e fornitori e a spostare in avanti il redde rationem. Ma il conto alla rovescia ormai è innescato. Già lunedì si dovrebbero capire meglio le intenzioni del gruppo: il governo che segue da settimane l’evolversi di questa vicenda, preoccupato soprattutto per le ricadute occupazionali, incontrerà alle 11 i vertici della compagnia. Al tavolo ci saranno sia il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda che il responsabile dei Trasporti Graziano Del Rio. Che ieri in una intervista al Messaggero ha spiegato che «i problemi che hanno portato a questa situazione sono strutturali e vanno affrontati in modo definitivo, perché la compagnia possa sfruttare l’incremento di richiesta di trasporto aereo a livello nazionale e globale».
Sindacati in allarme
I sindacati, che a loro volta dovrebbere incontrare l’azienda non più il 10 ma l’11 gennaio, ovviamente vedono di buon occhio l’entrata in campo dell’esecutivo, soprattutto per il ruolo di garanzia che può svolgere. Ma non vogliono assolutamente sentir parlare di nuovi sacrifici. Secondo il segretario generale della Uiltrasporti, Claudio Tarlazzi, «siamo lontani da un serio piano industriale di rilancio e siamo davanti a un problema che investe l’intero paese perché si tratta di un asset strategico». «È inverosimile parlare di migliaia di esuberi, preferirei che Alitalia fosse statalizzata, magari rilevata da Fs, oppure che nel suo capitale entrasse Lufthansa» sostiene invece il segretario generale della Fit Cisl Antonio Piras. Per il segretario nazionale della Filt-Cgil, Nino Cortorillo, se si è arrivati a questo punto «è solo perché la nuova Alitalia ha operato in continuità con quella vecchia, soprattutto sul medio e corto raggio trascurando invece i collegamenti intercontinentali che dovevano essere la vera leva del rilancio» e comunque ora «si scordino di presentare un piano non trattabile, con un conto che preveda esclusivamente un taglio occupazionale. Chi ha promesso una compagnia sexy non può presentarci ora un film horror».
Paolo Baroni, La Stampa 6/1/2017