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 2016  ottobre 29 Sabato calendario

TRA I FASCISTI ARMATI DI SLOVENSKI BRANCI


HLOVEC. La pioggia batte incessante sugli elmetti di una trentina di ragazzi in tenuta militare che, armati di kalashnikov, aspettano l’arrivo degli ultimi commilitoni davanti alla stazione di Hlovec, una cittadina della Slovacchia centrale. Sono gli Slovesnki Branci (SB), o “Leve Slovacche”, gruppo paramilitare ultra-nazionalista fondato nel 2012 dall’allora 16enne Peter Svreck, ancora oggi a capo dell’organizzazione. La destinazione è una grande foresta tra Hlovec e Nitra, dove SB ha intenzione di tenere un addestramento militare. «In fila», urla Svreck col megafono in mano, «attenti, avanti, march!». Inizia così una lunga marcia serrata sotto il diluvio, con alcune auto che lampeggiano lungo la strada e suonano il clacson per salutare la truppa.
«Siamo 250 in tutta la Slovacchia, con gente dai 15 ai 40 anni, e anche se cresciamo in numero non pensiamo di registrarci perché il governo non riconoscerebbe mai gruppi paramilitari sul suo territorio». La polizia tiene gli occhi puntati su SB, ma è lo stesso leader a chiamare gli agenti e a segnalare i luoghi dei training. In ogni caso, spiega Svreck, il fatto che il gruppo non sia registrato impedisce anche che possa essere dichiarato illegale e smantellato.
SB è il gruppo paramilitare più famoso della Slovacchia: etichettato come xenofobo e di estrema destra, ha fatto molto parlare di sé nel 2014, quando un suo cofondatore, Martin Kepta, è partito per combattere in Ucraina dell’Est con i separatisti russi. «L’orientamento pro-russo di Slovenski Branci è sempre stato palese», spiega Daniel Milo, analista esperto di estreme destre del think tank Globsec ed ex coordinatore dell’unità anti estremismo del ministero dell’Interno. Milo afferma che in base ai rapporti dell’intelligence ci sarebbero almeno 9 persone affiliate a SB che hanno raggiunto i combattimenti in Ucraina o lavorano dietro le linee del fronte.
Svreck conferma e anche se non vuole parlare dei suoi “foreign figthers”, ammette che quando aveva 16 anni un’organizzazione militare cosacca e zarista lo contattò dalla Russia, offrendo un training a lui, a Kepta e all’attuale vice di SB, Michal Feling. Tutti e tre accettarono: «Per due mesi i cosacchi ci hanno hanno formato e sottoposto a durissime esercitazioni». Una volta tornati, i tre hanno fondato Slovenski Branci. «Il nostro unico scopo è prepararci militarmente ed essere pronti a intervenire in caso di catastrofi naturali o di un’invasione straniera», spiega Martin, 23 anni, comandante in capo alla sezione di Nitra e studente di ingegneria informatica. SB, fa notare, è già stata operativa durante l’alluvione di Bratislava e occasionalmente ha fatto attività di pattuglia cittadina. «Abbiamo marciato in civile ma con la nostra maglietta su un bar di Nitra, dove un arabo aveva minacciato il proprietario». Martin ammette anche che la notizia ricevuta non era corretta e che “l’arabo” in questione in realtà non aveva commesso alcun crimine. Il comandante di Nitra, come tanti, ha deciso di non entrare nell’esercito e andare avanti con i suoi studi: «Voglio saper difendere la mia famiglia e con Slovenski Branci lo faccio meglio che con l’esercito. Questo non è un hobby, ma uno stile di vita».
Il faro dell’attenzione mediatica ha portato SB a limare le sue azioni e dichiarazioni. «Siamo assolutamente apolitici, patriottici e nazionalisti», dice Svreck. Il gruppo ha anche smesso di portare corone di fiori alle celebrazioni annuali sulla tomba di Josef Tiso, il presidente del regime fascista slovacco che ordinò la deportazione di più di 10 mila persone nei campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale. «Quando organizzano marce vicino a campi profughi o campi rom, inviano messaggi piuttosto chiari sulla loro visione dei rifugiati e in generale sull’apprezzamento di valori autoritari che non sono dissimili da quelli dell’estrema destra», spiega Tomas Nociar, professore all’università Comenius di Bratislava ed esperto di estreme destre. Diversi membri di SB, compreso il loro leader, invece pongono l’accento sull’importanza di far rinascere e fortificare l’identità, la cultura, la lingua e la tradizione slovacca.
Dopo un’ora di cammino, la fila si ferma in una vallata circondata dalla boscaglia. I ranghi si ricompongono e il vice Michal Feling tiene il discorso ufficiale d’inizio esercitazione. È lui il vero trainer, responsabile di tutte le manovre che i membri dovranno imparare. Feling è un soldato regolare dell’esercito slovacco, ma non sembra avere remore sulla sua doppia appartenenza: «L’esercito slovacco è allo sbando, usano tecniche antiquate, invece qui con SB sperimentiamo nuove tattiche che mi sono state insegnate da privati o che ho studiato su manuali aggiornati». Le 30 leve sono divise in quattro gruppi: fanteria, supporto fanteria, soccorritori e nuove leve. Ognuno corre, si mette in posizione per sparare, si mimetizza nel bosco e nell’erba alta. A ogni nuovo ordine che echeggia nella valle, gruppi di dieci persone simulano movimenti e attacchi coordinati in una situazione di guerra asimmetrica.
«Sono una madre sola e non so usare un fucile, se ci fosse una catastrofe o una guerra di certo non sarà l’esercito a proteggerci e neppure il nostro governo fallito», dice Michaela Bikansa, 37 anni e unica donna presente all’esercitazione. Bikansa fa parte delle nuove leve e spiega di aver conosciuto Slovenski Branci grazie a Facebook: «Facevano un incontro vicino alla mia città, sono andata a sentirli e ho deciso di entrare nel gruppo perché così siamo in grado di proteggerci». A quanto dicono i fondatori, tutti gli addestratori insegnano e le leve partecipano a titolo volontario: se ci sono donazioni vengono principalmente da cittadini privati, che in alcuni casi mettono a disposizione anche i loro terreni privati per le esercitazioni. Le leve comprano le divise e l’attrezzatura coi loro risparmi, comprese le armi, che sono kalashnikov veri e piuttosto vecchi, modificati per impedire di sparare con pallottole vere. «Costano poco e li puoi trovare su internet e nei negozi slovacchi di armi senza bisogno di mostrare alcun documento o porto d’armi», racconta Martin, di Nitra. Kalashnikov come quelli utilizzati da SB, molto comuni in tutta la Slovacchia, possono ridiventare facilmente armi letali: basta apportare poche modifiche al caricatore. Il loro mercato è spesso deregolamentato ed era fuori dai radar dei controlli del commercio d’armi finché uno di questi fucili è stato ritrovato in possesso di uno degli omicidi della strage di Charlie Hebdo a Parigi. Nonostante ciò, Slovenski Branci oggi è una minaccia per la Slovacchia in termini militari. Soprattutto perché, come spiega l’analista Daniel Milo, SB recluta giovani vulnerabili a un ulteriore indottrinamento a logiche anti sistema. La loro immagine è quella di adolescenti che passano giorni o settimane nei boschi con i camerati a imparare arti marziali, usare i fucili e creare legami di fratellanza. Questa immagine «è un grande incentivo per altri ragazzi a raggiungerli, ed è semplice per gli alti quadri indottrinare o indirizzare le leve verso sentimenti anti Nato, anti Ue e atteggiamenti anti democratici», conclude Milo.