Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 30 Domenica calendario

QUEL CHE RESTA DI OBAMA

C’è un campo in cui i due mandati, gli otto anni di Barack Obama alla Casa Bianca, sono stati certamente un successo: quello interno. Penso soprattutto all’economia, dove le sue politiche hanno dimostrato di essere molto più efficaci di quelle europee che si basano sull’austerità... Per Paul Berman, uno dei maggiori intellettuali americani, teorico della "guerra giusta" e nemico giurato dell’islamo-fascismo, quella del primo presidente afro-americano degli Stati Uniti è un’eredità double face, in cui gli innegabili successi in politica interna e le scelte (anche impopolari) con cui ha permesso agli Usa di superare la più grave congiuntura dai tempi della Grande Depressione, hanno come specchio negativo i «gravi errori» di una politica internazionale che «hanno minato» la leadership americana nel mondo: «E non parlo solo della Siria, che pure resta la principale e la più orribile tra le cose che mai avrebbero dovuto essere fatte. Purtroppo quello non è l’unico esempio. Se vogliamo sintetizzare, il suo peggior errore in politica estera è ben più grande della Siria: è stato quello di non capire che gli Stati Uniti d’America devono dimostrare - sempre e comunque - una leadership, altrimenti le cose andranno al diavolo».
Otto anni dopo, l’Obama’s Legacy, l’eredità che il presidente Usa lascia al prossimo inquilino della Casa Bianca (e tutto lascia prevedere che sarà un’inquilina) è già ampiamente oggetto di polemiche, accuse, rimpianti e scontri ideologico-razziali, in un’America che mai nell’ultimo mezzo secolo è stata così divisa. E non solo per colpa di Donald Trump ed Hillary Clinton (i due candidati più impopolari di sempre). Se sul piano economico Obama raccoglie i maggiori consensi (e non era facile per un presidente eletto all’indomani di una gravissima crisi), se la sua riforma sanitaria pur con molti limiti (in primis il potere di ricatto delle assicurazioni) ha dato copertura a milioni di americani, se su ambiente e clima ha provocato una svolta decisiva rispetto al passato, sono due le tematiche negative su cui gli storici saranno chiamati a giudicare la sua presidenza: la questione (e la violenza) razziale (vedi l’intervista a pagina 16) e la politica internazionale.
A sentire Ian Buruma - storico, scrittore ed esperto di diritti umani - la presidenza Obama è stata invece «un successo, sia nel primo sia nel secondo mandato». «Va sottolineato come fin dall’inizio abbia avuto una tremenda opposizione, hanno tentato di bloccarlo in ogni modo e non solo su Obamacare, la riforma sanitaria, ma praticamente su tutto». A chi giudica il primo presidente afroamericano solo dai suoi errori, Buruma ricorda che «un buon presidente non è soltanto un presidente che fa buone cose ma anche chi evita di fare pessime scelte: e in questo senso credo che Obama, nonostante qualche errore, abbia evitato scelte negative per gli Stati Uniti». È d’accordo invece sulle critiche per la Siria, ma con un distinguo: «Il suo più grande errore in politica estera è stato quello di dire ad Assad che c’era una "linea rossa" che non poteva essere superata e poi, quando il regime siriano l’ha superata, non fare nulla. O non doveva dirlo o doveva agire di conseguenza. Questo è stato un grosso errore».
Paul Berman è preoccupato anche da un altro lascito dell’era Obama, il risveglio dell’Orso Russo. «L’intervento di Putin in Siria è un’estensione della sua politica in Ucraina. Vuole dimostrare che le idee americane e liberali portano alla guerra civile e al terrorismo e che lui, Vladimir Putin, è il campione dell’antiterrorismo. Vuole che il mondo riconosca che una crudele autocrazia è una cosa buona. E che la dittatura in Russia è una benedizione per il mondo».
Il "vacuum" lasciato nel mondo dalla diplomazia di Obama è stato un errore («il suo principale») anche per Mark Lilla, quotato storico delle idee, collaboratore di New York Times e New York Review of Books e "professor of humanities" a Columbia: «Ha sbagliato nel pensare che l’America potesse abdicare alle proprie responsabilità, che sono conseguenza di un potere come quello degli Stati Uniti. E a non capire che se in politica estera c’è un "vacuum", quel vuoto verrà riempito da qualcun altro, Putin o chi per lui». Quanto agli otto anni di Obama alla Casa Bianca per Mark Lilla sono da considerarsi positivi e soprattutto in una cosa «ha avuto un grande successo»: nell’impedire che il partito repubblicano «dettasse l’agenda politica» negli Stati Uniti. «Ha fatto un po’ come il piccolo olandese che ha messo il dito nella diga, visto e considerato qual era l’umore e quello che era il nostro paese quando è stato eletto. Se pensiamo alla totale irresponsabilità del Congresso a maggioranza repubblicana, il solo fatto che lui sia stato alla Casa Bianca è una cosa positiva. E ha avuto più successo di quanto gliene venga accreditato».
Anche per Michael Walzer - professore "emeritus" di Princeton, filosofo, teorico della politica e polemista - gli errori maggiori sono quelli di politica internazionale. «Negli otto anni della sua presidenza Barack Obama ha provato, meritevolmente, a rovesciare quella unilaterale di George W. Bush e del disastro iracheno. L’approccio al multilateralismo era una scelta giusta, ma non è stato seguito dagli alleati, è stato boicottato dagli avversari ed è stata un’occasione perduta. Sulla Siria poi ha sbagliato tutto, fin dall’inizio».
Per Elliott Abrams, il diplomatico che lavorò nella Casa Bianca di Ronald Reagan e Bush padre, Obama ha invece avuto una politica estera «coerente» in Medio Oriente e più generalmente nel mondo. Un complimento dal vecchio avversario repubblicano? Non proprio, visto che spiega la coerenza di Obama come quella di un uomo che crede che il potere americano «sia pericoloso e debba essere ridotto». Motivo per cui «usa la forza militare degli Stati Uniti quando in genere è troppo tardi, anni dopo quello che gli hanno consigliato i suoi collaboratori», (tra cui, sottolinea Abrams, c’era anche Hillary Clinton Segretario di Stato).
Su una cosa tutti sembrano essere d’accordo: oggi gli Stati Uniti sono una nazione profondamente divisa, più di quanto non lo fossero otto anni fa. Ne è convinto Paul Berman: «Non c’è mai stata un’elezione presidenziale in cui i due candidati sono arrivati al punto di non stringersi la mano nei dibattiti televisivi. Il che significa che, anche al livello della semplice cortesia, l’America di oggi è sgradevolmente divisa più di quanto sia accaduto negli ultimi decenni». Ne è convinto a fondo anche Mark Lilla: «L’America oggi è molto più divisa, sia nella realtà della vita quotidiana che nelle ideologie. Con una destra estrema sempre più isterica ed anche con il gap sempre più grande tra i super-ricchi e una classe media impoverita e frustrata. Ed è anche culturalmente lacerata su temi quali globalizzazione, istruzione, costumi sociali e privati». Più sfumata la risposta di Ian Buruma: «Questa è una questione difficile, perché già otto anni fa gli Stati Uniti erano una nazione molto divisa. Mi risulta un po’ complicato dare una risposta netta su questo problema: diciamo che le divisioni già esistevano e sono state peggiorate dalla campagna elettorale e dagli atteggiamenti di Donald Trump».