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 2016  ottobre 29 Sabato calendario

OGNI CANZONE UN PUGNO IN FACCIA


[Bob Dylan]

«Sarà mica un letterato», dicono gli integralisti della letteratura dopo il Nobel assegnatogli dall’Accademia svedese. «Sarà mica un pugile», potrà dire ora chi seguirà con noi questo sorprendente viaggio a ritroso nel suo strettissimo rapporto con il ring. Fatto sta che Bob Dylan, il più famoso storyteller della musica moderna, se la cava bene sia con le sei corde (quelle della chitarra) sia con le dodici corde (quelle del ring).

I PRIMI PUGNI
Si perdono nel vento (Blowin’in the Wind) le prime prestazioni del giovane Dylan in palestra. Fu nell’infanzia trascorsa in Minnesota fra Duluth (dove nacque nel 1941) e Hibbing che Robert Allen Zimmerman, ebreo di origine turco-ucraina, fece la conoscenza del pugilato. «Però lo presi sul serio solo alle high school, visto che fino al ’58 fece parte del programma scolastico», dichiarò nel 2009 a Rolling Stone. «Io lo amavo soprattutto perché è uno sport individuale». Nella stessa intervista Dylan raccontò come alla fine degli Anni 70 si allenava col peso medio Bruce Mouse Strauss, quello che lui chiamava “l’avversario professionista”.

PRIMO INCONTRO
Il primo faccia a faccia di Dylan con un grande pugile avvenne nel ’61 e, come raccontato nell’autobiografia del 2004 Chronicle, volume One, non fu propriamente emozionante. Riguarda la visita al ristorante aperto nella 58th Street di Manhattan dal leggendario campione mondiale dei massimi Jack Dempsey, che a 66 anni lo scambiò per un pugile vero: «Sembri troppo leggero per essere un peso massimo, devi mettere un po’ di chili e anche vestirti un po’ meglio. Non è che sul ring servano i vestiti, ma non aver paura di colpire duro».

LE CANZONI
Fu nel ’63 che Dylan cominciò a eseguire dal vivo la sua prima ballata pugilistica, Who killed Davey Moore, che sarebbe stata poi inserita discograficamente solo in due bootleg retrospettivi del ’91 e 2004. Pur presentata in concerto come “una semplice canzone su un pugile presa direttamente dai giornali”, si tratta di un’accanita difesa del suo sport preferito. Era successo che il 21 marzo ’63, al Dodger Stadium di Los Angeles, il campione mondiale dei piuma Wba e Wbc, Davey Moore, avesse perso il titolo contro il messicano Sugar Ramos per k.o. tecnico al 10° round per poi morire in ospedale quattro giorni più tardi. Unendosi alla lista di quanti chiedevano l’abolizione della boxe, il folksinger Phil Ochs nella canzone Davey Moore aveva fortemente criticato il mondo del ring e quella di Dylan può essere considerata una difesa in musica di tutti i protagonisti della vicenda. Il suo testo addossa tutte le colpe all’industria pugilistica e conclude con la frase (“È stato il volere di Dio”) pronunciata dalla moglie Geraldine sul letto di morte di Moore.

L’AMICO ALI
Solo un anno dopo Dylan avrebbe dedicato I Shall Be Free No. 10, contenuta nell’album Another Side of Bob Dylan, a Muhammad Ali: “Mi stavo allenando contro l’ombra di primo mattino / immaginando di essere pronto per Muhammad Ali”. Il seguito ripercorreva in chiave ironica un immaginario match col “Più Grande”. Il 28 gennaio ’74 Bob Dylan, alla vigilia del suo concerto al Nassau Coliseum, si fece immortalare proprio col suo idolo nel backstage della vittoriosa rivincita su Joe Frazieral Madison Square Garden. Quasi due anni dopo, l’8 dicembre ’75, fu Ali a far visita a Dylan al Madison per il concerto di beneficenza dedicato a Rubin Hurricane Carter. Non per niente il celebre giornalista Howard Cosell recitò il testo della ninna nanna Forever Young, dedicata dal cantautore al figlio Jesse, durante la trasmissione televisiva del match in cui Ali conquistò nel ’78 per la terza volta il mondiale dei massimi contro Leon Spinks a New Orleans.

BOOM BOOM
Una sola volta, in un concerto di Seattle del 2002 di cui esiste testimonianza audio su YouTube, Bob Dylan ha eseguito la celebre Track Talk 186 Boom Boom Mancini, il brano che il chitarrista Warren Zevon aveva dedicato al campione dei leggeri degli Anni 80. Si tratta di una stranissima rievocazione in musica della carriera dell’italoamericano, battuto da Alexis Arguello e tornato a combattere nell’84 contro Bobby Chacon dopo la tragedia di Duk-koo Kim (“ucciso” sul ring nell’82) che l’aveva portato alla depressione. Una dichiarata rivisitazione della ballata di Davey Moore che Dylan volle dedicare al suo amico Ray Boom Boom. Fu proprio Mancini, però, a rivelare che il Menestrello aveva creato una palestra pugilistica privata (e nascosta) all’interno del The 18th Street Coffee House di sua proprietà a Santa Monica. «La più bella palestra che ho mai visto: al muro ci sono poster di Joe Louis, Ali e Frazier. La prima volta che abbiamo fatto i guanti lì, onestamente, avrei potuto metterlo giù al primo colpo. Ma Bob mi disse: “Hey Ray. Puoi andarci piano con i pugni in testa. Dentro ci sono ancora un paio di canzoni”. Non era né veloce né forte, ma aveva un suo modo di muoversi e sapeva boxare. Alla fine ci sedemmo e volle sapere tutto dei match. Era preparatissimo: oltre ad Ali e Frazier, i suoi idoli erano Benny Leonard (fenomeno di inizio Novecento, ndr) e Carlos Monzon».

LE FREQUENTAZIONI
Bob Dylan ha avuto come sparring nomi famosi del cinema: Sean Penn, Will Smith, Joe Manganiello e soprattutto Quentin Tarantino, che ricorda: «Una volta approfittò della mia guardia abbassata e mi piazzò un jab destro che ricordo ancora». Celebre una sua sessione di sparring con l’attrice Gina Gershon, in preparazione fisica per il tostissimo film Bound del ’96. Il “maschiaccio” del cinema americano, colpita ripetutamente in faccia, finì per mettere al tappeto il cantante: «Ma Bob non se la prese: “Ho sempre cercato una donna che mi mettesse col culo per terra”, disse».

I TOUR
Durante i tour, Bob Dylan non perde occasione per far visita alle palestre locali. Due famosi trainer, Rodolfo Rodriguez a Città del Messico e Richard Lord ad Austin, hanno raccontato la sua routine. «Saliva sul ring senza dire una parola e cominciava a picchiare duro». Tantissime le frequentazioni con i campioni della boxe. Il 7 novembre ’88 il canadese Donny Lalonde, così appassionato di Bob Dylan da riempire di foto autografate il suo training camp di Lakeville, volle il cantante a bordo ring al Ceasars Palace di Las Vegas per la difesa (persa) del Mondiale dei mediomassimi Wbc contro Sugar Ray Leonard. Nel 2014 fu invece Bob a rendere visita al suo beniamino Manny Pacquiao al training camp di Los Angeles per la rivincita del Mondiale dei welter Wbo in cui il filippino si riprese il titolo da Timothy Bradley a Las Vegas. «Sembrò la visita di un apostolo», ricordò il portavoce di Pacquiao.

PITTORE
Non tutti sanno che la terza arte cui Dylan dedica il suo ingegno è la pittura. Proprio a un anno dall’Olimpiade di Rio il cantante ha voluto dedicare la sua ultima collezione, The Brasil Series, a una delle sue terre più amate. Fra le opere messe in vendita nel 2015 a Mayfair (Londra) non poteva mancare la Boxing Gym in cui nel pugile in posa sul ring della prigione davanti a una finestra aperta è facile vedere gli echi di Hurricane, la sua più celebre canzone pugilistica dedicata a Rubin Carter. Hurricane proprio a Dylan dovette in buona parte la sua liberazione. Ma questa è una storia fin troppo nota.