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 2016  ottobre 28 Venerdì calendario

QUELLA CONFRATERNITA DI NARCISI SQUATTRINATI HA FATTO LA STORIA


«Oh sì» confermò Ferdinando Scianna, il primo fotografo italiano ammesso nell’Olimpo di Magnum, «siamo una famiglia. Io odio le famiglie...». L’aforisma, descrizione perfetta di quella leggendaria impresa anarco-imprenditoriale che sta per festeggiare del tutto imprevedibilmente i suoi primi settant’anni, è finita giustamente sulla copertina del libro di Russell Miller, finora inedito in Italia, che ne traccia la storia del primo mezzo secolo (Magnum, Contrasto editore, 376 pagine, 24,90 euro). Amore e odio, idealismo e mercato, passione e professione, Magnum ha incarnato nel bene e nel male lo spirito contraddittorio del fotogiornalismo moderno: mestiere di lupi solitari costretti al branco, giornalismo bistrattato dai giornalisti, calamita di polemiche, narcisismi, mitologie, sacrifici, lutti, luminose camere e dignitosi fallimenti.
Oggi Magnum è un’azienda diversa da come fu immaginata nel 1947 dai suoi quattro fondatori canonizzati, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David “Chim” Seymour e George Rodger, come una cooperativa, o meglio «una confraternita» di fotografi squattrinati ma gelosi della propria dignità di autori, ma anche chi ne critica il modello “obsoleto” deve ammettere che ha resistito più di altri esperimenti che ne contestarono l’egemonia, pur compilandone la formula.
Il libro di Miller (biografo “non autorizzato”, ma accettato) ha il pregio di farci intuire le radici di questa paradossale resistenza della fragilità assoluta. Smitizzando qualche aura di troppo (esilarante il primo capitolo, col resoconto di una delle passionali, ingovernabili assemblee annuali dei soci), smontando qualche mito dato per scontato (al famoso brindisi di fondazione con una bottiglia magnum di champagne nel ristorante del MoMa di New York mancavano tre dei quattro fondatori, e uno di loro, Rodger, seppe con sua sorpresa solo qualche tempo dopo di aver fondato l’agenzia fotografica del secolo), dando a ciascuno il suo (Magnum fu essenzialmente una creatura di Capa, e lui la sostenne con ogni mezzo, anche con le scommesse sui cavalli). Il plusvalore del libro sono forse le interviste ai grandi fotografi di Magnum, una comunità di asociali che, confermò Elliott Erwitt, si scannano a vicenda con grande amicizia.