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 2016  ottobre 30 Domenica calendario

IL RAGAZZINO DEL SURF SCALZA IL SUO MITO DAL TRONO DI ONDE

Il mare lo devi saper leggere. «Bisogna entrare nel suo ritmo e rispettarlo, perché sarà sempre più potente di te». È la leggenda del ragazzo nato per dipingere le onde, è il manifesto di un’esistenza anfibia alla ricerca di un perenne equilibrio. «Quando sono lontano dall’acqua sento una mancanza enorme. “Lui” mi dà la felicità, è la mia camera da letto. Posso rimanere anche tutto il giorno a mollo».

Leonardo Fioravanti ripercorre insieme a «la Lettura» le correnti che a soli 18 anni lo hanno proiettato sull’Olimpo di uno sport apparentemente lontano dall’Italia, il surf. Da quella spiaggia di Cerveteri dove tutto è cominciato, quando da bambino sguazzava nella schiuma con il fratello Matteo, ignorando tutto quello che sarebbe arrivato dopo: le vittorie precoci, il titolo mondiale juniores, le sfide con i big, il doppio scacco al suo idolo Kelly Slater. Uno che sta al surf come Maradona al calcio, come Borg al tennis, come Michael Jordan al basket.

Litorale laziale: terra di seconde case, di pendolari della tintarella, di racchettoni e partitelle sulla battigia. Ma quando tutti i mocciosi giocavano a pallone e Leo non era ancora petit genie  — così lo chiamano in Francia dove, insieme alla mamma, si è trasferito da tempo, a Hossegor, vicino a Biarritz, per realizzare i suoi sogni — per sorridere lui tornava in spiaggia: «Ero sempre lì, anche quando il mare era completamente piatto». Non erano i Giorni selvaggi raccontati dal premio Pulitzer William Finnegan, né la costa «etrusca» è Honolulu dove la tavola è religione: nemmeno il più fantasioso fra i beach boys all’amatriciana poteva credere che in quei lidi sarebbe nato un campionissimo. Ma oltre i confini dell’immaginazione navigano i talent scout, quelli della Red Bull sono tanto abili quanto spietati nel selezionare il Dna del numero uno in ogni disciplina. Le imprese del bambino prodigio rimbalzano come sassolini sul pelo dell’acqua, Leo entra in un vortice e ne esce con la stessa leggerezza con cui balla fra i «tubi», i cavalloni più tosti da domare.

L’agenda è scandita da trasferte intercontinentali, esercizi massacranti, ore sui libri a imparare le lingue (oltre all’italiano ne parla quattro: inglese, francese, spagnolo e portoghese), divora Hemingway mentre insegue le mareggiate in ogni angolo del pianeta. È una routine che stride con l’immagine dei surfisti di Hollywood, quelli di un Un mercoledì da leoni e di Point Break . Anche se le feste non mancano e le belle ragazze neanche, è la testa a governare i muscoli: «Devi avere talento ma l’allenamento è fondamentale. E la strategia decisiva: in gara spesso non vince il migliore ma il più intelligente, quello che fa le scelte giuste, soprattutto negli ultimi minuti», afferma. Perché nessun’onda sarà mai uguale a un’altra. Alcune spruzzano sudore e gloria, altre fallimento e vertigini: quelle di Margaret River, in Australia, raccontano di quando l’allievo batte il maestro per la prima volta. Slater, 11 volte campione del mondo e 26 anni più grande di Leo, lo considera quasi un figlioccio: lo ha coccolato, gli ha mostrato i trucchi del mestiere e quello come una spugna ha assorbito tutto.

La storia si è ripetuta un mese fa nell’oceano francese, Leo giocava in casa nella sua Hossegor. Due a zero, gioia indescrivibile per un bimbo cresciuto a guardare i filmati del mito californiano: «Kelly — dice — è stato e sarà sempre la mia fonte d’ispirazione. È un atleta fuori dal mondo, a 44 anni ancora vince delle tappe del circuito mondiale contro surfisti che potrebbero essere suoi figli. Quest’anno siamo andati insieme alle isole Figi per prepararci, c’erano onde stupende. Quella notte non ho dormito per la felicità». I due condividono un’altra passione, quella per il golf e anche lì raccontano di sfide incandescenti. Alla fine però si torna sempre al mare, la bussola fa già rotta sul Pacifico: nel 2020 il surf debutterà ai Giochi di Tokyo. «Al solo pensiero di entrare nello stadio olimpico mi vengono i brividi». Ma di acqua sotto la tavola ne deve passare ancora tantissima.